“Quello che ci attende è uno scenario impegnativo, in cui ogni contatto personale è una probabilità di infezione, magari limitatissima ma concreta. La pandemia è un sasso nello stagno che non scompare improvvisamente ma gradualmente scema, e a fronte di questo dobbiamo essere ancora molto prudenti perché il lavoro in presenza si somma alle scuole aperte, alla ripresa di tutte le attività; in sostanza ad un potenziale colpo di coda dell’epidemia“. Non esiste un manuale di gestione delle pandemie ma le parole con cui trattare i mesi che verranno sono chiare. A pronunciarle è Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’IRCCS Istituto ortopedico Galeazzi, ricercatore dell’Università di Milano e Presidente di Anpas.
“COVID COME L’HIV, RESTERÀ A LUNGO”
Interpellato dalla Dire, il virologo spiega quale potrebbe essere l’impatto del rientro a lavoro in presenza, per la Pubblica amministrazione, dal 15 ottobre, secondo l’ultimo Dpcm. “Ci sarà un rilassamento dei costumi negli ambienti comuni del lavoro, per quanto l’approccio prudenziale del nostro Paese sta dando i suoi buoni frutti”, spiega Pregliasco. “Significherà l’abbassamento della mascherina e a questo va aggiunta una tendenza alla normalizzazione richiesta dalle persone e alcuni strappi delle varie forze politiche nelle decisioni assunte dal Governo. È un impatto che capiremo a fine storia, anche se non ve ne sarà uno così definita, perché la pandemia da Covid sarà un po’ come con l’Hiv, conviveremo con il virus a lungo, lavorando affinché sia una convivenza civile”. Come realizzare la prudenza? Pregliasco lo dice chiaramente: “Le aperture devono essere graduali, l’80% della capienza non è il 100 anche se era meglio stare sul 50% perché una suddivisione con una capienza all’80% è difficile da tradurre in numero di sedie per vendere i biglietti”.
“LE GRANDI CITTÀ SONO PIÙ A RISCHIO”
Per quanto riguarda il lavoro in presenza però “l’impatto è facilmente immaginabile – avverte Pregliasco – ci sono studi che definiscono la probabilità del rischio in ragione sia della densità degli uffici sia della composizione della città, se a forma radiale ad esempio. Quello che abbiamo visto nelle grandi città ad inizio pandemia potrà verificarsi nuovamente, dal punto di vista della concentrazione dei casi, anche se non nei numeri grazie al vaccino”. Pregliasco parla anche del fatto che un equilibrio tra buon senso e voglia di normalizzazione è difficile da raggiungere: “L’infodemia ha deviato questo percorso di bilanciamento, spingendo le persone ai due poli opposti, da un lato chi dice ‘è finita’ e dall’altro chi preferisce restare al riparo nella capanna“.
“RIAPRIRE LE DISCOTECHE? È ANCORA PRESTO”
Il lavoro in presenza costituirà dunque un banco di prova, “sia per l’inevitabile abitudine al rischio del contagio ma anche per assumere comportamenti cauti e di buon senso”, spiega Pregliasco, che aggiunge come su alcune riaperture non si debba invece cedere. “Dispiace per le discoteche, ma riaprirle al chiuso è l’apoteosi del rischio, purtroppo dobbiamo aspettare. Andremo tutti a festeggiare in discoteca una volta che ne saremo usciti, ma fino a quel momento dobbiamo pensare a scavallare l’inverno con molta accortezza“.
“I TAMPONI SALIVARI NON SONO LA SOLUZIONE”
E nell’ipotesi di utilizzare i tamponi salivari molecolari per i lavoratori al rientro in presenza, il presidente Anpas fa notare come “un sistema costoso per un’azienda o un’organizzazione pubblica, anche perché è uno strumento che deve migliorare anche la sua sensibilità, ci sono tanti falsi negativi, e bisogna anche sottoporsi al test con due ore di digiuno. Non credo funzioni, per ora”. Uno scenario dunque non così promettente, quello che ci attende, ma su cui Pregliasco vuole dare un messaggio positivo: “Dobbiamo giocare con il fuoco, dobbiamo farlo, per riprenderci la vita, per far andare avanti le attività. Un conto è giocare con il fuoco all’inglese lanciandoci nel cerchio e un conto è farlo all’italiana, con prudenza”.
Fonte: Agenzia Dire