Ieri la Lega ha depositato in Corte di Cassazione il quesito per proporre un referendum sulla legge elettorale. Oggetto della richiesta è l’abolizione dell’attuale legge elettorale, basata su un sistema misto con quota proporzionale, a favore dell’introduzione di un meccanismo puramente maggioritario. Si tratta solo del primo passo di un lungo iter verso il giudizio di ammissibilità, ma non è difficile immaginare il terremoto politico che potrebbe generare l’eventuale approvazione del referendum, anche e soprattutto nel già precario governo Conte bis.
La proposta di Matteo Salvini, e del suo partito, ormai è chiara: eliminare definitivamente il Rosatellum, la legge elettorale introdotta nel 2017 e basata su un sistema misto: essa prevede infatti che il 36% dei seggi venga assegnato con un sistema maggioritario e il 64% con un sistema proporzionale. Ma a ben guardare, quella che ieri il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli (Lega), è andato a depositare in Cassazione non è una proposta referendaria qualunque. Data l’opposizione rispetto ad essa di gran parte dell’attuale coalizione di governo (e non solo, se si pensa alle esitazioni avanzate a riguardo da Forza Italia), l’eventuale approvazione del referendum assumerebbe infatti un significato politico non solo simbolico. Basti pensare che nel caso in cui si superasse il quorum del 50% +1 e vincessero i sì (ipotesi non così remota), sarebbe in dubbio la stessa sopravvivenza dell’attuale governo.
Il difficile iter verso l’approvazione. Ora che il quesito è stato depositato in Cassazione, la strada verso l’approvazione è tutt’altro che in discesa. Se infatti l’esito del secondo passaggio, ovvero la verifica della legittimità della richiesta, dovrebbe essere facilmente prevedibile, in quanto ad appoggiarla sono stati otto consigli regionali (Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Sardegna, Abruzzo e Basilicata), quando ne sarebbero stati sufficienti cinque, i successivi step in Cassazione sono tutt’altro che scontati. In particolare, cruciali saranno i quindici giorni, previsti tra gennaio e febbraio, durante i quali la Consulta dovrà discutere sull’ammissibilità del referendum. Il principale ostacolo infatti è rappresentato dal fatto che quest’ultimo potrebbe provocare – si legge su Il sussidiario.net – “un vuoto legislativo” e come il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti ha spiegato al Sole 24 Ore “quando i giudici della Corte dovranno valutare l’ammissibilità non avranno la sicurezza di una legge applicabile a prescindere da eventi successivi: la condizione che richiedono ai referendum in questa materia. Quindi è inammissibile”.
Perché l’ipotesi della vittoria del sì non è così remota. Se infatti, la proposta dovesse superare l’imponente ostacolo della Corte Costituzionale, la vittoria del sì apparirebbe agli occhi di Salvini e della Lega tutt’altro che utopistica. Certo, sono necessarie alcune precisazioni, in primis il leader del Carroccio fa affidamento al consenso fin ora riservato al suo partito da parte degli elettori, quindi per sperare di portare a casa la vittoria, quest’ultimo dovrebbe restare inalterato fino alla prossima estate, dato che si andrà verosimilmente a votare tra il 15 aprile e il 15 giugno 2020. Se le cose staranno così, i sì potrebbero essere davvero in maggioranza, non solo in virtù dell’elettorato leghista, ma anche perché quella per il maggioritario è una battaglia da tempo portata avanti anche da alcune forze di sinistra, come gli ulivisti guidati da Romano Prodi o Stefano Parise. Il tutto assume contorni ancora più definiti se si considera il progetto dell’attuale esecutivo verso una riforma del Rosatellum in direzione del tutto contraria, ovvero verso un sistema esclusivamente proporzionale. In definitiva, si potrebbe creare il paradosso per cui potrebbero essere gli stessi elettori di sinistra a favorire i piani di Salvini e, a ben guardare, la sua (nuova) ascesa verso Palazzo Chigi.