Il nuovo Dpcm dell’8 ottobre parla chiaro: da ora in poi le mascherine diventano obbligatorie anche all’aperto. La nuova impennata di contagi da Coronavirus, registrata nel nostro paese negli ultimi giorni, sembra infatti essere un segnale piuttosto evidente di come purtroppo anche l’Italia – nelle ultime settimane apparentemente più fortunata rispetto ai vicini europei – sia costretta ormai a fare i conti con l’allarmante risalita della curva dei contagi.
Una situazione di rinnovata emergenza alla quale il governo ha risposto con nuove stringenti misure, alcune anche piuttosto dibattute. Prima tra tutti, l’introduzione della mascherina anche all’aperto – fatta eccezione per i bambini sotto i sei anni, per chi è in macchina da solo o con famigliari e chi pratica sport – ha accesso un forte dibattito, anche tra esperti ed epidemiologi. Difatti, a fronte di tanti pareri positivi, c’è anche chi si è detto in disaccordo, o per lo meno, fortemente in dubbio sull’efficacia del provvedimento.
La ridotta possibilità di contagio all’aperto, in assenza di assembramenti, è difatti il primo argomento a sostegno di chi mette in dubbio l’utilità dell’obbligo della mascherina all’aperto. Ma il rischio è davvero così minimo? Secondo alcune ricerche scientifiche la risposta sembrerebbe essere affermativa. Ne è un interessante esempio uno studio cinese – riportato da un articolo del New York Times dello scorso 15 maggio – condotto su 7.300 contagiati in Cina. Stando a quest’ultimo, sul totale dei contagi studiati, solo uno era avvenuto all’aperto: un uomo di 27 anni che aveva parlato con una persona infetta, rientrata da poco da Wuhan. Lo studio, pur prendendo in considerazione un campione tutto sommato limitato di casi, fornisce comunque un’interessante prova del fatto che all’aperto le possibilità di contagio, sebbene non assenti, si riducono significativamente.
A questo punto, la domanda che sorge spontanea è: può questa ridotta, seppur non assente – è bene ricordarlo –, percentuale di rischio giustificare l’obbligo di mascherina all’aperto? Per Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, “rendere obbligatoria la mascherina in tutta Italia all’aperto – riporta il sito Genova24.it – senza alcuna distinzione tra le aree geografiche a più alta e più bassa circolazione endemica è sbagliato”. Il tallone d’Achille di questa misura, secondo Bassetti, dunque risiederebbe non tanto nell’obbligo dell’uso all’aperto della mascherina, ma quanto nel fatto di applicarla universalmente a tutto il territorio nazionale.
Ciò infatti significherebbe “ricommettere l’errore commesso con il lockdown: un’unica misura per tutta l’Italia senza tener conto delle differenze regionali e locali”, quando invece – a detta dell’infettivologo – le differenze tra le singole regioni dovrebbero continuare ad essere un criterio fondamentale nell’adozione delle misure anti-Covid. Inoltre, a proposito della questione mascherine, ha aggiunto “l’uso delle mascherine ha senso solo in luoghi confinati, laddove non sia possibile avere certezza e garanzia del necessario distanziamento fisico oppure all’aria aperta quando non si riesca a mantenere il distanziamento fisico.”
Ma, dubbi e perplessità sono state sollevate anche all’interno dell’esecutivo. A farlo è stato il ministro dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti, in un post su Facebook. Sul social, infatti, il già ministro dell’Istruzione, referendo il contenuto di un comunicato sottoscritto da un gruppo di medici, si è detto d’accordo con i dubbi sollevati da questi ultimi a proposito non solo dell’incerta utilità del provvedimento, ma anche per quanto riguarda i potenziali rischi che un uso prolungato della mascherina potrebbe implicare per la salute delle persone. In particolare, potrebbero essere proprio i contagiati inconsapevoli a pagarne le conseguenze più preoccupanti.
“Infatti la resistenza all’espirazione di una maschera tenuta a lungo aumenta – ha scritto il ministro – la ri-inalazione dei propri virus, in un circolo vizioso che aumenta la carica, che può così raggiungere gli alveoli, dove le difese immunitarie innate sono carenti”. Un rischio che secondo Fioramonti imporrebbe una più attenta e solida ricerca scientifica che provi il prevalere dei benefici sui rischi connessi all’uso obbligatorio della mascherina anche all’aperto.