Approvata ufficialmente dal Consiglio dei Ministri solo qualche giorno fa, la Nota di aggiornamento al Documento di economica e finanza ha rappresento fin dal primo giorno del suo insediamento uno dei più importanti banchi di prova per il nuovo governo giallorosso. Eppure, nonostante gli sforzi compiuti dall’esecutivo per far quadrare i conti e non superare il tetto massimo imposto dall’Ue, non sono poche le critiche già sollevate contro alcuni suoi punti, in primis l’introduzione di un’aliquota aggiuntiva del 20% sugli imballaggi di plastica.
La sovrattassa sulla plastica entrerà in vigore il primo giugno 2020 e consisterà in un’aliquota di un euro per ogni chilo di imballaggio di plastica. Si tratta di una delle misure che vedranno la luce in seguito all’applicazione del Def 2019, ovvero la nuova Legge di Bilancio, e rientra nell’ambito delle soluzioni ideate per realizzare l’ormai noto Green New Deal. La riconversione verde dell’economia promessa e promossa dal Conte bis dovrebbe infatti attuarsi – secondo i suoi promotori – incentivando scelte ecosostenibili. Ne sono un esempio l’ecobonus mobilità o gli incentivi per i green corner all’interno degli esercizi commerciali. Ma, a detta di molti, la sovrattassa sugli imballaggi non solo sarebbe inutile, ma perfino dannosa per l’economia e l’ambiente stesso.
Il rischio sarebbe infatti – riporta Open – quello di un “effetto boomerang anti-ambientalista”, alla maniera di quanto accaduto inseguito all’introduzione nel 2017 dell’imposta sui sacchetti biodegradabili per frutta e verdura. In quell’occasione infatti – secondo i dati Ismea per il primo trimestre del 2018 – “a fronte di una riduzione degli acquisti di “sfuso” del 3,5% e del 7,8% della relativa spesa, si è registrato l’aumento delle vendite di ortofrutta fresca confezionata (+11% in volume e +6,5% la spesa)”, e quindi un incremento della plastica prodotta per gli imballaggi.
“Serve soltanto a fare cassa”. Sarebbe questa l’unica finalità reale perseguibile dalla nuova sovrattassa. A dichiararlo è stato lo stesso presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, che al quotidiano la Repubblica ha affermato: “Si tratta di una tassa lineare. Non aiuta a riconvertire il settore plastica verso produzioni riciclabili e riutilizzabili e non colpisce il consumo di plastiche non riciclabili». Ma, fanno notare i sindacati, le conseguenze più gravi non sarebbero per i consumatori, che potrebbero subire un rincaro compreso tra i 20 e i 100 euro per nucleo famigliare, ma per i lavoratori del settore.
A rischio anche migliaia di posti di lavoro. A bocciare del tutto la misura è stata anche Filctem Cgil che in una nota ufficiale ha diffuso le dichiarazioni del suo segretario generale Marco Falcinelli: “Produrre una tonnellata di plastica per imballaggi costa circa 1000 euro e la ventilata ipotesi di una tassa aggiuntiva del 20% metterebbe a rischio il futuro di 50.000 lavoratori e di 2000 imprese”. Si tratterebbe dunque di una misura dannosa su più fronti, in quanto – ha aggiunto Falcinelli – “non si tratta di difendere gli interessi di un settore ma di evitare un disastro dal punto di vista sociale e produttivo”.
L’ago della bilancia sembrerebbe dunque tendere inequivocabilmente verso il piatto dei contro. Sebbene infatti, l’aliquota sugli imballaggi porterebbe nelle casse dello Stato – riporta il sito Ansa – “risorse per oltre 2 miliardi di euro” (a fronte di circa i 30-32 miliardi necessari per coprire la manovra), sembrano essere ben più significativi i rischi che essa potrebbe implicare sia a livello sociale sia a livello economico, senza contare che lo scopo primario per cui essa è stata messa a punto, ovvero promuovere la sostenibilità, sembrerebbe essere – stando al parere degli esperti – tutt’altro che garantito.