“Non avrei lasciato il lavoro che stavo facendo per portarvi a una sconfitta” L’osservazione che spiazza tutti, Enrico Letta la fa sul finire della sua relazione all’assemblea. È il passaggio in cui l’allievo di Nino Andreatta (‘nulla di più sovversivo della verità‘, dice nel richiamarne la memoria) affronta le primarie, il tema più atteso da una parte dei dem. In soldoni: si tratta di decidere chi fa le liste, chi stabilisce le candidature alle politiche. Letta non dice se le primarie si terranno prima o dopo le elezioni per il Parlamento. Semplicemente il tema che per giorni ha dominato la discussione svanisce. “Non è più dirimente”, spiegano fonti di Base riformista, a conferma. Il ‘miracolo’ della pax interna si realizza con un doppio passaggio.
Letta chiarisce che il Pd mantiene la vocazione maggioritaria nell’ambito del centrosinistra (e annuncia incontri con tutti i leader da Speranza a Matteo Renzi. Sì, incontrerà anche Matteo Renzi). Solo dopo aver federato la nuova coalizione di centrosinistra si rivolgerà al M5s di Giuseppe Conte. Quanto alle primarie, vengono archiviate dal pronostico sulle prossime elezioni: chi le chiedeva prima delle politiche pensava a una sicura sconfitta contro il centrodestra. “Ma non sarà così. Se il Pd diventa un partito nuovo, l’Italia nella sua maggioranza ci seguirà ancora”, assicura Letta.
È presto per sperare che il Pd dica addio alle correnti. “Io ho vissuto in una corrente per tutta la vita. Ma vi dico che così non funziona”, prova a buttarla lì il segretario. Ad ascoltarlo altrettanti cultori della materia, meno convinti di lui che convenga dismettere gli steccati interni. In ogni caso, oggi Letta ha posto le premesse di una segreteria aperta a tutti, anche se gli organismi interni arriveranno più avanti, al termine della discussione nei circoli e in assemblea.
Dopo le molte polemiche, per il Pd viene il giorno della compattezza. Letta promette un partito nuovo, “progressista nei valori, riformista nel metodo e radicale nei comportamenti individuali”. Senza l’ossessione del governo. “Altrimenti diventiamo il partito del potere”. Addio Dc, insomma. Per il suo Pd il segretario usa una metafora bersaniana: “Dobbiamo mettere insieme l’anima e il cacciavite, e non staccarle mai”.
Così sui contenuti, è pronto a battaglie coraggiose. Dalla parità di genere, all’emergenza lavoro, al voto ai sedicenni, alla fedeltà e progressività fiscale. Allo ius soli. Ricorda Giulio Regeni e annuncia battaglia con l’Egitto su Patrick Zaki, “che deve avere la cittadinanza italiana”. Nei commenti tutti approvano, da Nicola Fratoianni a Giuseppe Conte. A contestare restano Matteo Salvini e Giorgia Meloni: “Comincia male”, dicono. Nel Pd in molti sono convinti che sarà la sfida delle politiche: Enrico Letta contro Matteo Salvini.
Il più citato nel suo discorso è Romano Prodi. “Inutile che vi dica cosa significhi per me…”, si schernisce Letta. Anche i tempi tornano. Il professore bolognese scese in campo un anno e due mesi prima delle elezioni 1996 in cui esordì e vinse con l’Ulivo. Se Draghi verrà eletto al Colle a febbraio prossimo, il voto per le politiche potrebbe esserci in primavera.
– Agenzia DiRE –