Dalla risoluzione dell’ONU del 2011, sono quasi dieci anni che la Libia vive in una condizione di costate caos, scissa tra le due fazioni che si contengono il dominio del paese dopo la caduta del generale Gheddafi. Il ruolo dell’Italia nello stato nordafricano è stato altalenante. L’esecutivo Gentiloni aveva garantito una collaborazione stretta con il Governo di accordo nazionale (o più precisamente LPA, Libyan Political Agreement) riconosciuto internazionalmente, guidato dal Primo Ministro Fayez al-Sarraj, cercando di mediare con “l’antagonista” della regione: il generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito di liberazione nazionale libico (riconosciuta nella sigla LNA). Tuttavia, dall’inizio della nuova legislatura, l’Italia ha esercitato un ruolo effimero nel favorire una soluzione diplomatica nello stato libico, né il cambio di governo ha comportato un’inversione di rotta su questo fronte. Il risultato è che lo scenario si è drasticamente complicato e, nonostante la stabilità libica sia di primaria importanza per il nostro paese, lo stato italiano rischia di giocare un ruolo marginale in questa partita.
Una visita di routine. “Nei prossimi giorni l’Italia nominerà un inviato speciale per la Libia, una figura di alto profilo che rappresenterà il nostro Paese e risponderà direttamente alla Farnesina”, queste le prime parole del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di rientro dalla sua missione in Libia, il quale ha però ammesso che “l’Italia ha indubbiamente perso terreno il Libia ma è il momento che recuperi il suo ruolo naturale e dia una mano in un Paese amico, vicino, a rischio terrorismo e nel pieno di una grave crisi umanitaria”. Le questioni evidenziate dal ministro pentastellato sono tutte di primaria importanza, ma l’atteggiamento del nostro paese nell’ultimo periodo ha comportato un raffreddamento difficile da recuperare. Al-Sarraj in questi anni, pur mantenendo importanti rapporti con gli esecutivi italiani, ha posto l’accento sul ricreare uno stato libico libero dalle ingerenze esterne. Questo atteggiamento ha avuto un certo successo sulle popolazioni della regione di Tripoli. Essendo il governo riconosciuto a livello internazionale, l’Italia ha coltivato rapporti discreti e con l’esecutivo di accordo nazionale libico, ma con la chiusura della scorsa legislatura e l’apertura della nuova l’atteggiamento del nostro paese è cambiato. Non si tratta solo dello stato italiano, diversi sono gli attori europei che hanno mostrato un atteggiamento poco chiaro, ma, data la vicinanza e l’importanza strategica della Libia, la non presa di una posizione chiara da parte del nostro governo nell’ultimo anno e mezzo risulta ancor più grave. Infatti, l’atteggiamento di al-Sarraj, confermato da diverse fonti locali, è stato alquanto “freddo” nonostante l’aperta cordialità nei confronti del ministro italiano. I motivi sono semplici. Di Maio ha avuto incontri con tutte le parti, in modo da giocare un ruolo di mediatore. Tuttavia, è proprio la mediazione diplomatica che insospettisce l’esecutivo libico, specialmente l’atteggiamento docile nei confronti di Haftar. Il generale a capo dell’esercito di liberazione nazionale, che non ha mai avuto parole al miele nei confronti del nostro paese, tenta da mesi di prendere il controllo sull’intero paese tramite continui bombardamenti operati su Tripoli. In questo contesto l’Italia non ha mai espresso una posizione di condanna contro LNA o di sostegno al governo riconosciuto, anzi spesso ha puntato a mediare con lo stesso Haftar, quest’ultimo a capo di un organismo non riconosciuto a livello internazionale e favorevole ad una risoluzione militare per la presa del potere. In sintesi, è stata l’ipocrisia italiana ed occidentale, oltre che una totale mancanza di visione sul lungo periodo, ha complicare inesorabilmente la situazione in Libia.
Lo scacchiere geopolitico. In questi anni il generale Haftar ha ricevuto aiuti, di stampo militare in particolare, da diverse potenze. Non solo la Russia, principale sostenitore sottobanco dell’esercito nazionale, ma anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, in misura minore, la Francia. Da aprile 2019, grazie alla conquista dello spazio aereo, Haftar ha sferrato un attacco diretto a Tripoli con l’intenzione di prenderne il controllo. Nonostante il vantaggio strategico, sul campo non sono stati fatti molti progressi. Stretto nella morsa militare del generale, il governo al-Sarraj non ha potuto non accettare l’aiuto dell’unico paese a tendere la mano al LPA: la Turchia del Presidente Recep Tayyp Erdogan. Il rapporto tra i due paesi si è consolidato in due accordi: uno di “cooperazione militare e di sicurezza”, che rischia di realizzare un dispiegamento militare sul suolo libico delle milizie di Ankara contro il generale, e uno di demarcazione dei confini marittimi, che ha sollevato la protesta di Grecia, Cipro ed Egitto che lo ritengono illegittimo. Questa svolta ha preoccupato parecchio l’Unione Europea e i suoi principali Stati membri. In questo contesto si inserisce la missione del Ministro degli Esteri. La visita di Di Maio, concordata anche con i partner europei a margine del Consiglio europeo dello scorso 13 dicembre, è finalizzata a fare da apertura alla Conferenza di Berlino, che si terrà a gennaio, e favorire una prima mediazione da concretizzare in una Conferenza ad hoc presso le Nazioni Unite a Ginevra. Su questo punto la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha già fatto le prime mosse prendendo contatti con i principali attori globali, come la Russia, e preparando il terreno per un successo del summit di Berlino, sperando che nel frattempo non intervengano eventi che complichino ancor di più la situazione interna nello stato libico. La partita libica assume contorni sempre più complessi e la soluzione diplomatica sembra sempre più lontana.