Dopo un mese dall’inizio del lockdown, il 60% dei pazienti con Alzheimer aveva subito un peggioramento dei disturbi comportamentali preesistenti o la comparsa di nuovi sintomi neuropsichiatrici. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da Sindem (Società Italiana di Neurologia per le demenze) e pubblicata sulla rivista Frontiers Psychiatry.
L’Alzheimer è una malattia subdola che entra silenziosamente nella vita delle persone per poi travolgerla completamente: porta a una totale perdita di autonomia nei pazienti, con un grosso impegno da parte dei familiari che svolgono un ruolo importantissimo di costante accudimento. Nel mondo la malattia di Alzheimer colpisce circa 40 milioni di persone e solo in Italia ci sono circa un milione di casi, per la maggior parte over 60. Oltre gli 80 anni, la patologia colpisce un anziano su 4.
Questi numeri sono destinati a crescere drammaticamente a causa del progressivo aumento dell’aspettativa di vita, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo: si stima un raddoppio dei casi ogni 20 anni. “Ad oggi – spiega Gioacchino Tedeschi, presidente Società Italiana di Neurologia (Sin) – le terapie per la cura dell’Alzheimer sono in grado di mitigarne solo in parte i sintomi, ma non hanno alcun impatto sulla progressiva evoluzione della demenza, una volta che questa si sia manifestata”.
“Abbiamo però una nuova speranza: grazie alla ricerca scientifica, l’Fda – aggiunge – ha proprio di recente accettato di esaminare gli studi condotti sul farmaco aducanumab, un anticorpo monoclonale che si è dimostrato efficace nella rimozione dell’accumulo di beta-amiloide, causa della patologia, nei soggetti che si trovano in una fase molto iniziale della malattia”.
Lockdown e malattia. Questo approccio mirato ai possibili meccanismi di malattia si presenta molto promettente per i pazienti. Una buona notizia, quindi, in tempo di Covid-19, una pandemia che ha avuto un enorme impatto sulla qualità di vita dei pazienti con Alzheimer e dei caregiver: le restrizioni imposte dal lockdown, infatti, hanno indotto un peggioramento dei disturbi comportamentali nei pazienti affetti da demenza.
Nello studio condotto da Sindem sono stati coinvolti 4.913 familiari di persone affette da demenza seguite in 87 Centri specializzati in tutta Italia. “Dallo studio – rileva Amalia Cecilia Bruni, presidente eletto della Sindem – è emerso che, a un mese dall’inizio della quarantena, il 60% dei pazienti ha subito un peggioramento dei disturbi comportamentali preesistenti o la comparsa di nuovi sintomi neuropsichiatrici”.
I dati. “In oltre un quarto dei casi – sottolinea – questa nuova condizione è stata tale da richiedere la modifica del trattamento farmacologico. In generale i sintomi riportati più frequentemente sono stati l’irritabilità (40 per cento), l’agitazione (31 per cento), l’apatia (35 per cento), l’ansia (29 per cento) e la depressione (25 per cento)”. Il tipo di disturbo neuropsichiatrico prevalente è risultato essere influenzato da variabili tra cui il tipo di malattia che ha causato la demenza (malattia di Alzheimer o altre forme) e la sua severità, nonchè dal genere sessuale. Ad esempio, avere una malattia di Alzheimer ha aumentato il rischio di un incremento di sintomi d’ansia e depressione nelle fasi lievi e moderate di malattia e soprattutto nel genere femminile.
Anche i familiari dei pazienti hanno risentito in modo significativo degli effetti acuti del lockdown con evidenti sintomi di stress in oltre il 65% degli intervistati. Gli effetti dell’isolamento indotto dal lockdown, con i cambiamenti della routine quotidiana e la riduzione di stimoli emotivi, sociali e fisici, hanno rappresentato un detonatore per l’incremento rapido di disturbi neuropsichiatrici tra le persone più a rischio quali sono gli anziani con deterioramento cognitivo.