Con l’introduzione del green pass obbligatorio per i cittadini italiani e stranieri in Italia (D.L. 23 luglio 2021, n. 105) mi pare sia passata sotto silenzio anche una diretta ricaduta di rilevante portata all’interno del rapporto di lavoro: e cioè l’introduzione dell’obbligo “strisciante” del cd. green pass anche a carico dei lavoratori addetti alle aree ed attività “sensibili” considerate, dalla stessa normativa, maggiormente a rischio di contagio per sé e per gli altri.
Forse non era questa l’intenzione del legislatore – anche se le spinte in questa direzione da parte delle associazioni imprenditoriali si erano già manifestate chiaramente – ma di sicuro l’introduzione del green pass obbligatorio per accedere a certe aree (musei, mostre, ristoranti al chiuso, piscine, centri sportivi, eventi, convegni, congressi etc.) a partire dal 6 agosto per clienti- fruitori comporterà ahimè lo stesso obbligo per i lavoratori e collaboratori addetti alle stesse aree ed attività per i quali il green pass verrà richiesto agli italiani, con pesanti ricadute pratiche ed amministrative oltre che di costi a carico delle aziende interessate.
Lo dice l’art. 3 del D.L. 23 luglio 2021, n. 105 nel prevedere che l’accesso a certi servizi ed attività – dove il rischio di contagio è ritenuto oggi maggiore dal legislatore – sarà consentito solo ai soggetti muniti di certificazioni verdi COVID 19 di cui alla legge 17 giugno 2021, n. 87, art. 9 comma 2, (in pratica il certificato amministrativo di avvenuta vaccinazione con 2° dose o di avvenuto contagio/ guarigione da Covid 19 o l’esito medico-sanitario di tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti) e ciò senza alcuna specifica distinzione fra fruitori terzi e dipendenti ivi addetti.
Voluta o meno, questa è la immediata conseguenza dell’obbligo di green pass a carico dei cittadini italiani (oltre che per gli stranieri), posto che non avrebbe alcun senso pretendere che i cittadini italiani (e stranieri) siano vaccinati (certificazione amministrativa) o non contagiosi (certificazione medico-sanitaria di tampone negativo entro 48 ore) per poter accedere a certi luoghi e non lo fossero invece i titolari, dipendenti o collaboratori da quelle strutture che analogamente vi accedessero per rendere una prestazione a diretto contatto ed a favore dei soggetti alla cui tutela il cd. green pass obbligatorio è stato introdotto.
Se – in linea con le parole del Governo – il green pass deve servire a consentire ai soggetti sani-vaccinati di non contagiarsi e di godere in sicurezza di alcuni spazi comuni e “protetti” fra di loro dai soggetti privi di identica certificazione (sul presupposto che chi possiede un green pass sia sano diversamente da chi non lo possiede, anche se in realtà l’unica validazione medico-sanitaria davvero efficace è solo il tampone negativo per entrambe le categorie di soggetti, vaccinati e non laddove la certificazione amministrativa di avvenuta vaccinazione o guarigione da Covid non può presentare le stesse certezze), non sarebbe ammissibile che soggetti muniti di green pass venissero a contatto con soggetti che ne fossero privi (titolare/dipendenti/collaboratori/), ritenuti oggi dal Legislatore a maggiore rischio di infezione.
Se così fosse, si vanificherebbe proprio il beneficio voluto dalla norma (quello di garantire la sicurezza dei soggetti fruitori vaccinati o negativi al Covid), “mescolando” fra di loro cioè soggetti vaccinati o non contagiosi (almeno così ritenuti dalla norma) con soggetti non vaccinati ritenuti di per sé potenzialmente contagiosi o più contagiosi di quelli muniti di green pass.
Si pensi ad esempio all’incongruenza dell’accesso ad un museo o ad una mostra laddove venisse richiesto il green pass al turista per accedervi come pre-condizione del suo stato di non contagio e non fosse invece richiesto all’addetto al controllo della sala posto a contatto con il primo che ben potrebbe, di conseguenza, contagiare il primo.
Ne discenderebbe, in tal caso, l’insensatezza della disposizione per l’evidente pericolo di commistione fra soggetti vaccinati ritenuti sani (il turista munito di green pass) ed il dipendente del Museo non vaccinato e privo di green pass, ritenuto dalla norma (giusto o sbagliato che sia) malato o potenzialmente contagioso analogamente al turista non vaccinato cui, in forza della nuova disposizione, sarebbe in ogni caso impedito l’accesso a quel museo (più articolata e complessa invece la situazione per i ristoranti, laddove il green pass sarebbe richiesto unicamente al dipendente che faccia servizio ai tavoli al chiuso, analogamente al cliente, ma non a quello addetto all’esterno o al bancone con indubbio e ulteriore disagio per i ristoratori costretti ad ingessare la propria organizzazione in funzione della nuova norma).
Di conseguenza, ed al di là delle premesse su cui si basa (vaccinato-sano e non vaccinato di per sé contagioso) non sempre scientificamente sostenibili (che il green pass è solo una certificazione amministrativa di avvenuta guarigione o vaccinazione mentre solo il tampone negativo dà la certezza a tutti, vaccinati o meno, di non essere infetti nelle 48 ore precedenti) per impedire tale insensata ed irragionevole conclusione pratica prima ancora che logico-giuridica, ne deriva che, in linea con il testo della norma anche il dipendente o collaboratore a qualunque titolo delle strutture “sensibili” (e pertanto anche i dipendenti degli appaltatori così come il titolare dell’attività medesima) dovrà essere munito di green pass per potervi accedere.
Né, per ovviare a tali complicazioni indotte a carico di aziende e lavoratori, potrà valere che presso la struttura “sensibile” siano in vigore e rispettati efficacemente da tempo i protocolli anti Covid presenti sui luoghi di lavoro (mascherine e distanziamento fra tutti): l’introduzione dell’obbligo di green pass, sul presupposto di una mutata pericolosità del virus effettuata oggi dal Legislatore sulla base di predizioni e analisi anche se non rese disponibili, supera conseguentemente, innalzandole, le misure precauzionali da doversi osservare dal 6 agosto, rendendo così obsoleti ed insufficienti i protocolli anti Covid sul luogo di lavoro e le misure precauzionali sino ad oggi osservate con successo (analogamente a quanto avviene per il cittadino fruitore delle stesse attività e servizi per il quale l’accesso, come prima, con la semplice mascherina non sarà più sufficiente, venendo oggi richiesto il possesso del cd. green pass come ritenuto dal decisore governativo, trattandosi di un Decreto Legge in attesa di conversione in legge).
In difetto, e qualora cioè si volesse interpretare la norma ritenendo esclusi i lavoratori e collaboratori da tale obbligo gravante solo sui cittadini fruitori, ne discenderebbe la evidente insensatezza logico-giuridica della disposizione ed a mio avviso l’incostituzionalità dell’obbligo del green pass a carico dei cittadini fruitori, anche solo per l’evidente difformità di trattamento fra cittadini (art. 2 e 3) ed irragionevolezza della norma, requisito questo al contrario richiesto dalla giurisprudenza costante della Corte Costituzionale.
Da quanto esposto sopra discendono ulteriori e pesanti conseguenze a carico delle aziende e lavoratori.
Da un lato che i soggetti vaccinati richiesti di green pass per poter accedere ai locali ed aree “sensibili” sopra indicate (musei, mostre, convegni, congressi, piscine, palestre, centri culturali, ristoranti al chiuso etc.) a partire dal 6 agosto potranno legittimamente richiedere al momento del loro ingresso di ottenere, a propria tutela, una conferma- certificazione da parte del titolare dell’area del possesso di green pass obbligatorio in capo a tutti i dipendenti e collaboratori ivi impiegati (incluso il titolare) e, conseguentemente, in difetto, derivandone la potenziale responsabilità civile e penale in capo all’esercente tale attività per tutte le conseguenze che dovessero derivare (contagio) in capo ai clienti-fruitori per la violazione di tale misura di garanzia precauzionale in loro esclusivo favore.
Dall’altro, e ciò risulta maggiormente rilevante sul piano del rapporto di lavoro. il titolare dell’attività in questione, pubblica o privata che sia, a partire dal 6 agosto dovrà pretendere, analogamente a quanto avviene per gli avventori, dai propri dipendenti e collaboratori il possesso del cd. green pass (vaccinazione, guarigione o tampone negativo ogni 48 ore), dovendo in difetto sospendere dalla prestazione (con potenziali ricadute sulla retribuzione e rischio di contenzioso) quei dipendenti che ne fossero sprovvisti.
Inutile ricordare che in tale caso il titolare dell’attività dovrà fornire gratuitamente ai propri dipendenti e collaboratori non vaccinati tamponi ogni 48 ore (tralascio qui il tema della privacy pure non secondario su cui dovrebbero essere analizzate attentamente le ricadute), da considerarsi DPI a protezione sia dei lavoratori che dei soggetti terzi con ulteriore ed evidente aggravio di procedure e costi non preventivati a carico delle aziende.
In caso contrario, oltre che violare la disposizione con possibili sanzioni pecuniarie a proprio carico, come previsto dalla norma, il responsabile dell’attività risponderà verso il cliente-avventore di tutte le conseguenze che dovessero verificarsi a suo danno (contagio) dall’aver impiegato dipendenti e collaboratori privi del cd. green pass.
Da ultimo, e non secondario, i titolari delle attività e i datori di lavoro risponderanno invece delle eventuali conseguenze avverse che dovessero derivare ai propri dipendenti che fossero costretti a vaccinarsi per potere continuare a lavorare qualora fosse cosi richiesto dal proprio datore di lavoro.
Insomma, un ulteriore aggravio di oneri e responsabilità a carico delle aziende e lavoratori cui forse nessuno era preparato.
A cura dell’Avv. Luca Failla, Head of Employment & Benefits Deloitte legal