Durante l’emergenza Coronavirus e il relativo periodo di distanziamento sociale, molti italiani – e non solo – si sono trovati costretti a vivere lontano dai loro affetti, a volte in condizione anche di totale solitudine, con tutte le conseguenze psicologiche che questo ha significato. Ma, per alcune categorie di persone questa fase di isolamento forzato ha avuto un impatto emotivo ancora più forte e significativo. Questo è il caso, ad esempio, dei tanti minori che in Italia vivono in comunità educative o in case famiglia, più di 30mila secondo il Report 2017 dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Abbiamo parlato delle difficoltà, ma anche dei risvolti positivi, che questo periodo ha implicato all’interno della realtà delle case famiglia per minori con Gianluca Foschi, psicologo-psicoterapeuta e coordinatore della casa famiglia L’Albero di Roma (Associazione Gabriele Onlus).
In questo periodo di isolamento sociale quali sono state le difficoltà maggiori che hanno manifestato i ragazzi?
In realtà le difficoltà sono state diverse e su molteplici piani. Innanzitutto, tra quelle che si sono manifestate fin da subito c’è stata la difficoltà da parte dei nostri ragazzi di capire cosa stesse succedendo, anche a causa dell’eccezionale rapidità con cui tutto è accaduto. Si è passati infatti molto rapidamente dalla “gioia” della chiusura della scuola e della possibilità di trascorrere la giornata insieme in casa famiglia o uscendo fuori con i propri amici al divieto di ogni contatto con il mondo esterno, che improvvisamente è diventato in qualche modo anche minaccioso e fonte di pericolo. È stato proprio aiutare i ragazzi a comprendere il significato della quarantena e quindi di questo contrasto tra mondo esterno e realtà interna della casa famiglia – che è diventato l’unico spazio in cui effettivamente i ragazzi potevano stare – a costituire una della sfide più importanti per noi educatori. Un’altra difficoltà si è manifestata, inoltre, nel momento in cui sono stati vietati, per i ragazzi che ne potevano usufruire, i contatti – seppur limitati – con le rispettive famiglie di origine, determinando un distacco totale. Tutto questo ha contribuito ad amplificare ogni emozione provata dai ragazzi, così come è accaduto per i loro rapporti interpersonali: la quarantena ha sicuramene avuto un ruolo di cassa di amplificazione delle emozioni dei ragazzi, e anche un semplice litigio o battibecco in questo contesto di totale isolamento veniva ingigantito all’ennesima potenza.
Quali iniziative voi educatori avete intrapreso per sostenere i ragazzi in questo periodo così delicato?
In realtà, abbiamo dovuto stravolgere quella che era sia l’organizzazione esterna sia quella interna della casa. Prima dell’emergenza, ogni giorno ospitavamo tirocinanti e volontari che organizzavano per i ragazzi attività di vario tipo, da laboratori di estetica, musicali, artistici a attività di sostegno allo studio. Tutto questo ovviamente non è stato più possibile, quindi l’equipe educativa si è trovata a dover reinventare quelli che erano i turni lavorativi, cercando di creare delle attività che potessero essere sia appetibili da un punto di vista di interattività con i ragazzi, ma anche validi dal punto di vista educativo e didattico. Abbiamo creato ad esempio degli allenamenti quotidiani, anche per fornire un sostegno a chi tra i nostri ragazzi svolge attività sportiva, anche di livello agonistico, delle attività artistiche o ludiche, come delle cacce al tesoro in casa, alternando tutto questo ovviamente alla didattica a distanza che i ragazzi dovevano regolarmente seguire ogni giorno.
Per quanto riguarda la didattica a distanza, anche in termini ad esempio di dispositivi digitali necessari per la didattica online, avete ricevuto degli aiuti da parte dello Stato?
Devo ammettere che da questo punto di vista non abbiamo riscontrato particolari difficoltà. Nel senso che i dispositivi digitali con cui i ragazzi hanno potuto seguire la didattica a distanza ci sono stati forniti dalle scuole stesse, dopo aver inviato loro una richiesta apposita. Ogni scuola si è organizzata attraverso questa modalità del tutto gratuita, per fornire ad ogni ragazzo (ovviamente a chi non ne era già provvisto di suo) un dispositivo digitale – tablet o pc – in modo tale da offrire loro il supporto necessario, il tutto in tempi anche piuttosto celeri.
D’altra parte, la necessità di vivere 24 ore su 24 in casa famiglia, quindi anche in contatto costante con gli educatori, ha avuto dei risvolti positivi? Sia nel rapporto ragazzi-educatori sia tra gli stessi ragazzi?
Naturalmente lo stretto contatto ha fatto sì che le barriere che normalmente ci sono sia tra educatori e ragazzi, sia tra i ragazzi stessi, siano venute meno o comunque si siano indebolite. Questo ha fatto nascere un senso forte di famiglia, rendendo anche molto più intimi tra loro gli stessi ragazzi. Non potendo infatti più uscire all’esterno, questi ultimi hanno avuto modo di conoscersi davvero, anche svelando i loro sentimenti più profondi, non solo tra di loro – cosa che ha fatto nascere delle amicizie profonde e reali – ma anche rispetto a noi educatori, rafforzando il rapporto che abbiamo con loro. Inoltre, anche all’interno della stessa equipe il lavorare a stretto contatto gli uni con gli altri ci ha permesso non solo di capire gli uni le difficoltà degli altri, ma anche di instaurare un rapporto più sincero – ad esempio per quanto riguarda i punti di forza, o al contrario, le criticità del nostro lavoro – e quindi anche più maturo e solido.