Senza tetto, migranti e anziani: sono molte le persone in estreme difficoltà che in queste settimane di isolamento sociale e paura per il futuro rischiano di essere lasciate sole a sé stesse. Proprio al fianco di queste persone, per tutelarle e proteggerle, è attiva da ormai molti decenni la Comunità Sant’Egidio, presente in più di 70 paesi in tutto il mondo. Ma come ha modificato il loro lavoro l’emergenza Coronavirus? Ne abbiamo parlato con Rita Simeoni della Comunità Sant’Egidio di Roma.
Come l’emergenza Coronavirus in corso ha cambiato il vostro lavoro? Non lasciare solo nessuno, in particolare le persone più fragili e vulnerabili, è l’esigenza a cui Sant’Egidio sta cercando di rispondere dall’inizio di quest’emergenza, mantenendo e se possibile rafforzando quei legami di solidarietà, che per tanti rappresentano un sostegno vitale. Durante questo periodo ci si chiede giustamente di osservare delle regole per la sicurezza e il benessere di tutti, quindi, il nostro lavoro ha dovuto in un certo senso adattarsi a queste esigenze. Le mense della Comunità di Sant’Egidio sono rimaste aperte sia a Roma che nelle altre città italiane ma nel rispetto della misure di precauzione per quanto riguarda il numero contingentato delle persone, la distanza tra loro e l’igiene. Abbiamo intensificato le distribuzioni nelle stazioni e rafforzato la rete di monitoraggio degli anziani e delle persone che vivono sole. Sono nate inoltre tante iniziative per essere vicini a chi non potevamo più visitare personalmente, ad esempio gli anziani in istituto o le persone in carcere: corrispondenza, messaggi, videochiamate.
Avete ricevuto la giusta assistenza da parte degli enti pubblici, in particolare in riferimento ai dispositivi e alla strumentazione necessari per tutelare la vostra salute, ma anche quella delle persone che aiutate? Abbiamo sollecitato le istituzioni a fare il massimo per proteggere le persone più fragili e vulnerabili, ricevendo risposte diverse a seconda della città o della località considerata. La necessità tuttora più impellente è quella di trovare nuove strutture in grado di ospitare chi vive per strada e quindi non può ottemperare alle disposizioni del decreto che chiede di restare a casa. È fondamentale infatti tutelare i soggetti più vulnerabili, come gli anziani, i senza fissa dimora, le persone malate o con disabilità, chi è in carcere. Abbiamo lanciato un appello alle istituzioni, ma anche a tutti i cittadini, affinché queste persone non vengano lasciate sole perché l’isolamento potrebbe mettere in grave pericolo la loro vita.
È stato complesso adeguarsi alle nuove norme igienico-sanitarie nelle vostre attività quotidiane? Abbiamo cercato di capire quali potevano essere le strategie migliori, rispettando i vari decreti emessi dal Governo e dalle autorità locali, anche con l’aiuto di quanti svolgono professioni medico-sanitarie, e le abbiamo messe in atto partecipando tutti in prima persona a questa sfida. La crisi attuale ci chiede una grande responsabilità per proteggere tutti.
La vostra Comunità è presente in molti paesi del mondo: quanto è importante per voi questa rete di contatti internazionali? Le istituzioni vi sostengono oppure è un’attività soprattutto autogestita? La Comunità di Sant’Egidio è una rete di comunità presente in più di 70 paesi nel mondo, unite nell’impegno per i poveri. Per questo, ovunque siamo attivi, abbiamo cercato di proteggere soprattutto chi è più fragile e isolato. La produzione di mascherine in Pakistan e in Mozambico, la distribuzione di mascherine e di cibo agli anziani più poveri in Congo, ai senza dimora negli USA sono solo alcuni esempi. In Italia gli anziani hanno iniziato a cucire mascherine per chi vive per strada o in carcere, i più giovani si sono messi a disposizione per fare la spesa a chi è solo e non può uscire. Un aiuto è arrivato anche dalla diocesi di Xi’an in Cina, colpita prima di noi dal virus: ha inviato scatoloni di mascherine per i poveri. Possiamo dire che stiamo sperimentando una globalizzazione della solidarietà. Si tratta, come succede anche in tempo ordinario, di un’attività in larghissima parte autogestita, con nostre raccolte autonome, anche se non mancano a volte anche aiuti delle istituzioni.
Sembra che in questi giorni di preoccupazione generale, alcune fasce di persone siano state in qualche modo dimenticate (senza tetto, emigrati, detenuti) dall’opinione pubblica, è così? Certo, è un periodo di paura generale. Alcune situazioni ci preoccupano molto, come quella degli anziani negli istituti. Sono di questi ultimi giorni le tragiche cronache di Rsa e case di riposo messe in isolamento per l’alto numero di positivi al test. In molti casi non si è messo in sicurezza il personale che li assisteva, ugualmente vittima di questa grave mancanza. Ciò rivela una cultura, purtroppo ancora molto diffusa, che nega pari dignità alla vita delle persone più fragili con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche.
C’è qualcosa che le persone comuni potrebbero fare nel loro piccolo per assistervi in questa battaglia a fianco dei più soli? Credo che tutti i cittadini possano fare la loro parte e in un certo senso è stata anche l’esperienza di questo periodo, molti si sono offerti di aiutare ad esempio nel portare la spesa o le medicine a chi vive solo, altri si sono uniti a noi nella distribuzione di cibo a chi vive per strada. Chi vuole può contribuire economicamente, oppure raccogliendo generi utili: tutte le informazioni su come si può aiutare sono su www.santegidio.org. Sono tante azioni preziose che possono salvare la vita di molti e costruiscono una società migliore.