Natale Forlani, già Direttore Generale al Ministero del Lavoro, fa luce sulla questione immigrazione in Italia. Dalla sanatoria voluta dal ministro Bellanova, all’analisi dell’impatto che gli stranieri producono sul mercato del lavoro nel nostro Paese, Forlani traccia un quadro generale sul fenomeno immigrazione rompendo stereotipi e dicerie che spesso falsano la percezione del fenomeno.
Qual è l’impatto che gli stranieri producono sul mercato del lavoro italiano? La presenza degli stranieri nel nostro mercato del lavoro, 2,5mln di occupati pari al 10,7 sul totale dell’occupazione, è stata caratterizzata da una crescita molto rapida, dal concorso di numerose comunità di origine, che ha generato una rilevantissima incidenza in alcuni settori, in particolare nei servizi alle persone, nell’agricoltura, nelle costruzioni, nei comparti commerciali del turismo e della ristorazione, soprattutto per lavoratori dipendenti con qualifiche medio basse. Del tutto evidente che a prescindere dalle stime, in alcuni casi esagerate, che circolano sul contributo degli stranieri nella formazione del prodotto interno lordo, le caratteristiche appena descritte rappresentano delle componenti strutturali della nostra economia e del nostro mercato del lavoro. E, in quanto tali, sostanzialmente imprescindibili.
Perché la sanatoria voluta dal Ministro Bellanova non ha funzionato per far emergere il lavoro sommerso? Le sanatorie, intese come misure di emersione del lavoro irregolare, sono inefficaci per diversi motivi. Intanto perché gli specifici mercati del lavoro dove operano gli immigrati irregolari sono particolarmente caratterizzati da una elevata mobilità e da rapporti di lavoro di breve durata, che sconsigliano i datori di lavoro a inoltrare domande che richiedono tempi di gestazione superiori a quelli della durata effettiva dei rapporti di lavoro. Il secondo motivo attiene al fatto che in questi mercati del lavoro la componente del lavoro sommerso è molto estesa, si rigenera per ragioni di competizione sleale, o, come nel caso del lavoro domestico, per problemi di sostenibilità dei costi da parte delle famiglie. In gran parte questo lavoro sommerso riguarda gli immigrati con regolare permesso di soggiorno. C’è poi un terzo motivo, molto sottovalutato, che le rende poco praticabili relazionato ai vincoli etnici che legano i migranti irregolari a buona parte degli intermediari che si sono attivati per favorire il loro ingresso in Italia.
La sanatoria, quindi, è stata “sfruttata”, in realtà, per l’ottenimento del permesso di soggiorno? Attraverso quali dati è possibile dimostrare o smentire questa tesi? Esattamente. E il veicolo naturale, e non a caso molto utilizzato, è quello della instaurazione di un rapporto di lavoro domestico, perché caratterizzato da relazioni fiduciarie che si possono attivare e scindere senza particolari vincoli da parte delle famiglie. Come ampiamente dimostrato nei risultati della sanatoria del 2012, con l’87% delle domande inoltrate per questo settore, replicate dall’ 85% della sanatoria recente. Giova evidenziare che in entrambi i casi circa il 75% delle domande ha riguardato lavoratori maschi appartenenti a comunità di origine che non hanno mai avuto un ruolo particolare nelle colf e badanti. Un terzo dei quali assunto da famiglie straniere della stessa etnia. Per la sanatoria del 2012 è possibile constatare come nel corso della gestazione delle domande di emersione presso il fondo dei lavoratori domestici dell’Inps si sia verificato un aumento analogo alle domande accettate, oltre i 110 ml iscritti, successivamente fuoriusciti dal fondo una volta esaurite le procedure e rilasciati i permessi di soggiorno.
In che modo la sanatoria ha di fatto danneggiato ulteriormente gli immigrati regolari ed in particolar modo quelli che versano in condizioni di povertà assoluta e che ad oggi rappresentano il 31% del totale dei nuclei familiari stranieri residenti in Italia? Un aumento dei migranti con regolare permesso di soggiorno in cerca di nuove opportunità di lavoro non determina particolari problemi se il ciclo della domanda di lavoro, come per buona parte del primo decennio degli anni 2000, è favorevole. Ma se coincide con due pesanti crisi economiche come nel caso del 2012 e di quella attuale, partendo da una condizione di 400 ml disoccupati immigrati, l’effetto non può che essere quello di complicare la vita alle persone immigrate, che perdono il lavoro. I mercati del lavoro sommerso di alimentano per l’abbondante concorrenza tra i lavoratori, non per il contrario.
Quanto c’è di vero nel disegno per il quale immettere immigrati nel nostro sistema servirebbe a rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori? Basta leggere correttamente i numeri e le tendenze in atto nei settori dei servizi alle persone, in agricoltura, nelle costruzioni, nel settori dell’alberghiero, della ristorazione e della logistica. Secondo l’Istat sono i settori con la più elevata incidenza del lavoro sommerso per quote che, guarda caso, coincidono con quelle della presenza a degli immigrati. Alcuni di questi settori sono tra quelli più colpiti dalla crisi Covid. Non è difficile immaginare cosa potrà succedere nei prossimi mesi alle persone che perdono il lavoro o che sono permanentemente costrette a cercarlo.
Da cosa è data la forte disparità per quanto riguarda il tasso di occupazione di alcune comunità rispetto ad altre? In che misura gli orientamenti culturali della comunità d’origine riflettono anche le specializzazioni produttive e professionali degli immigrati? La differenza sostanziale è data dai livelli di partecipazione della componente femminile, che inevitabilmente si riflettono su quelli generali delle comunità specifiche. Sono molto elevati per le comunità dell’est Europa, delle Filippine, del Perù, e poco significativi in quelle del nord e centro Africa, Indiana, Pakistana e del Bangladesh. È una evidente conseguenza degli approcci culturali sul tema dei ruoli di genere di queste comunità, che si riflettono anche nelle specializzazioni produttive e professionali e sui redditi dei nuclei familiari.
È vero che gli immigrati “ci pagano le pensioni”? In base a quale principio è possibile smentire o confermare questa tesi? Ritengo che questo approccio sia privo di senso. Nei sistemi pensionistici a ripartizione tutti coloro che lavorano, e pagano regolarmente i contributi sociali, pagano le pensioni in essere, e nel contempo maturano i requisiti per poterle percepire nel futuro. In tal senso i contributi sono una sorta di prestito in vista di future prestazioni, non versamenti a fondo perduto. I problemi del sistema previdenziale italiano sono legati al bassissimo tasso di occupazione della popolazione italiana, come evidenziato nelle comparazioni statistiche europee, per un equivalente di circa 3,8mln di occupati autoctoni in meno.
Perché è doppiamente dannoso per l’Italia, sia agli occhi dell’Europa che rispetto i paesi d’origine degli immigrati, prestare poca attenzione nell’esaminare e nel distinguere lo status ed i diritti degli immigrati che giungono in Italia? Questo è un fenomeno che potremmo legare anche alla sanatoria? In tutti i paesi europei, anche per l’effetto dei trattati internazionali sottoscritti e delle direttive europee, le condizioni per l’ingresso dei richiedenti protezione internazionale e per gli ingressi legati ad altri motivi, leggi in particolare per il lavoro e per le ricongiunzione familiari, vengono distinte. La prima, quella per i rifugiati, è legata alle condizioni dei soggetti richiedenti ed è dovuta, le altre sono vincolate alla verifica delle condizioni del mercato del lavoro e dell’insediamento consolidato delle persone e dei nuclei familiari. Solo in Italia la confusione regna sovrana e diventa necessario spiegare queste ovvietà quando si presenta il problema di dover distinguere le condizioni dei rifugiati dalle altre. Di certo la sanatoria recente, che ha persino previsto la possibilità per i cittadini stranieri entrati in Italia con il visto turistico e per visite parentali di poter essere assunti regolarmente, questa confusione l’ha ulteriormente alimentata. E in parallelo la diffidenza degli altri stati aderenti alla UE riguardo i comportamenti in atto nel nostro paese, che si riflette nella resistenza ad accettare la distribuzione dei richiedenti protezione in ambito europeo.
Il nostro mercato del lavoro ha bisogno di nuovi immigrati, tenendo conto che in Italia ci sono anche diverse migliaia di immigrati disoccupati? In teoria l’equilibrio di lungo periodo per mantenere i livelli delle persone in età di lavoro in un paese che registra un notevole declino della popolazione, necessita di un contributo costante di nuovi immigrati. Nella pratica ci si deve confrontare con i problemi di sostenibilità che sono legati alla possibilità effettiva di inserirli nel mercato del lavoro in condizioni accettabili. Nella situazione attuale la tesi che sia necessario programmare nuovi ingressi per fare i lavori disegnati dagli italiani è in buona parte priva di fondamento, pericolosa persino per i potenziali effetti per gli immigrati regolarmente residenti. Altra cosa è interrogarsi sul perché il nostro paese risulti poco attrattivo per le risorse umane qualificate, e la cosa vale anche per molti segmenti dei nostri laureati. Noi trascuriamo il fatto che si sta formando un mercato del lavoro internazionale, e che dobbiamo interrogarci su come partecipare in modo vantaggioso in questo mercato. È un tema che va ben oltre l’oggetto della nostra intervista, lo segnalo perché questo è il vero orizzonte delle future politiche migratorie.