Camerieri, commessi, operatori sanitari e infermieri, parrucchieri ed estetiste. Sono tante le professioni che, mano a mano che il lockdown inizierà ad alleggerirsi, dovranno modificare il proprio “stile di lavoro”.
Non solo mascherine e guanti, obbligatori per tutti, ma anche dispositivi specifici di protezione: a questi, le tante professioni “di prossimità”, a diretto contatto con il pubblico, dovranno aggiungere un’attenzione continua all’igiene, personale e dell’ambiente di lavoro, e una “riorganizzazione” dell’attività funzionale a garantire la sicurezza dei clienti, tramite contingentamento degli accessi ai locali in cui vengono svolti il servizio o la vendita, turnazioni, nuova gestione degli spazi per garantire quel distanziamento sociale destinato ad accompagnarci ancora per i prossimi mesi.
Lo studio. Sono 6 milioni 145 mila i lavoratori che, secondo l’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro condotta sui dati di Forze Lavoro Istat, svolgono un lavoro non solo a diretto contatto con il pubblico, ma che potrebbe essere definito “di prossimità” in quanto implica una vicinanza fisica, che si traduce in alcuni casi in vero e proprio contatto (operatori sanitari, estetisti, parrucchieri).
I dati. Rappresentano – emerge dallo studio – una quota importante dell’occupazione italiana (il 26,5%) che si troverà, si spera a breve, a riprendere il proprio lavoro con nuove modalità e organizzazione. Sono concentrate principalmente nei servizi, dove è occupato complessivamente il 70% di tale gruppo di lavoratori, e nel commercio, con il 28,4% degli occupati, con punte nelle attività ricettive e di ristorazione (il 79,5% degli occupati del settore lavora a diretto contatto con il pubblico), nei servizi personali (68,6%), nelle attività commerciali (53,2%). A livello geografico quasi la metà (48,7%) è al Nord, il 28,5% al Sud e isole e il 22,7% al Centro.
Il primo grande gruppo è rappresentato da commercianti e addetti alle vendite, ovvero quanti lavorano a diverso titolo nel commercio, con un rapporto a diretto contatto con la propria clientela. Si tratta di 1 milione 723 mila lavoratori (il 28% delle professioni “di prossimità”), molti dei quali tuttavia non si troveranno impreparate all’apertura avendo già avuto modo di adattarsi nella fase del lockdown alle nuove regole, che tuttavia potrebbero diventare più stringenti: protezioni individuali e contingentamento degli accessi diventeranno la regola, ma al tempo stesso vi sarà un impegno maggiore anche nel supportare la clientela nel processo d’acquisto per evitare possibili contaminazioni tramite merci.
Un universo molto vario che va dall’alimentare, che non ha mai smesso di lavorare, salvo rare eccezioni, all’abbigliamento, uno dei settori più penalizzati dalle chiusure. Per molti – spiega la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – è ipotizzabile un’ organizzazione del lavoro che veda ampliare gli orari di apertura dei negozi, per consentire la gestione dei flussi.
Campagne promozionali. Inevitabile sarà, soprattutto per alcuni segmenti, un investimento nelle strategie commerciali: più vendita online, su piattaforme o strumenti dedicati, consegne a domicilio, ma anche campagne promozionali ad hoc, per smaltire magari gli acquisti effettuati per la stagione primaverile prima che termini.
Tra le professioni in causa – emerge dallo studio – vi sono poi gli esercenti e gli addetti alle attività di ristorazione (1 milione 154 mila pari al 18,8% delle professioni “di prossimità”): per molti il rientro al lavoro sarà traumatico, in quanto implicherà, oltre all’adozione delle misure di protezione individuale, una vera e propria riorganizzazione della modalità di lavoro. A partire dagli spazi, che dovranno inevitabilmente essere riprogettati per garantire adeguata distanza (tra tavoli e persone), fino ai tempi di lavoro, laddove sarà ipotizzabile una estensione del modello del doppio turno (sia a cena che a pranzo) già diffuso tra i locali di maggiore successo.
Anche le professioni sanitarie dovranno largamente rivedere, come già stanno facendo quelle in prima linea nella lotta al virus, procedure e tecniche di lavoro, per garantire quanto più possibile la sicurezza propria e dei pazienti. Sono 976 mila gli addetti tra tecnici (radiologi, fisioterapisti) e figure qualificate nei servizi sanitari e assistenziali (infermieri, operatori sanitari e così via), a cui si aggiungono 302 mila medici: oltre alla fornitura dei necessari dispositivi di sicurezza, e ad un’attenzione maggiore all’igiene di ambienti e strumenti di lavoro, sarebbe auspicabile anche un rafforzamento dell’orientamento alla sicurezza e soprattutto alla prevenzione, per garantire la salute personale e dei pazienti.
I lavori di pulizia. C’è, infine, – si legge nell’analisi – un segmento di cui poco si è parlato in questa fase dell’emergenza ed è rappresentato dalle tante operatrici che svolgono servizi di pulizia a domicilio (449mila, pari al 7,3%). Lavori per lo più sospesi nel corso della crisi, che saranno probabilmente tra primi a riprendere. In questo caso è facile pensare che, a parte la temporanea sospensione dell’attività, poco cambi all’interno delle mura domestiche, salvo il rispetto di quelle norme minime di sicurezza che ormai contraddistinguono ogni rapporto sociale, anche in famiglia.