“Non siamo privi di memoria: non possiamo non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà. Oggi siamo tutti italiani, e l’Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l’Europa e il mondo intero”. Così il premier albanese Edi Rama, salutando all’aeroporto di Tirana un team di 30 medici e infermieri albanesi che partivano per l’Italia quando il nostro Paese era in ginocchio, stretto nella morsa del coronavirus. Sicuramente un gesto di solidarietà e di enorme valenza simbolica di cui si parlò molto e che, forse, potremmo considerare come monito per un’Europa che, a seguito dell’emergenza in cui tutti siamo coinvolti, fa fatica a trovare una posizione comune e condivisa per risorgere. Ma cos’altro potrebbe celarsi dietro l’aiuto degli albanesi? Si aspettano qualcosa in cambio dall’Italia? A tal proposito abbiamo intervistato l’On. Nino Foti, Presidente della Fondazione Magna Grecia, già Vice Presidente e Parlamentare della Repubblica.
On. Foti, è ormai di qualche giorno fa l’iniziativa annunciata dal premier albanese Rama dell’invio in Italia di medici e infermieri. Un’azione di altruismo e riconoscenza verso il nostro Paese che fa un certo effetto. Cosa ci insegna questo? Il nobile gesto del premier Edi Rama a favore del nostro Paese, che rappresenta il comune sentire dell’intero popolo albanese, ha molto colpito me così come tutti gli italiani. Il gesto dell’Albania, che in un momento così difficile per il nostro Paese ha dato dimostrazione di grande amicizia e solidarietà, è un gesto importante, e per noi una conferma di quanto sappiamo da tempo: la fratellanza e la solidarietà tra popoli che condividono antichi valori e una forte identità storica e culturale possono essere la chiave per superare il momento buio e ricostruire una nuova civiltà, più forte e coesa.
Un gesto che, ora più che mai, può fungere da monito per l’Europa che, in questo momento di grande difficoltà, non riesce a trovare una posizione comune per affrontare le conseguenze di questa emergenza. Possiamo vedere l’azione dell’Albania come un richiamo all’Europa a non tirarsi indietro nel momento del bisogno? Il gesto dell’Albania è stato a mio avviso sì un monito, ma certamente un nobile esempio di solidarietà tra popoli in un momento in cui, anche in Europa, sono sembrati prevalere divisioni, egoismi e calcoli di piccolo cabotaggio. Certamente l’aiuto dell’Albania, altamente simbolico per le sue implicazioni, può aiutarci a rimettere l’Europa, la stessa idea di Europa, in un corso dal quale si stava pericolosamente allontanando: quello voluto dai Padri fondatori, quell’Europa “forza gentile” e non quell’Europa calcolatrice e arcigna che emerge dalle cronache degli ultimi anni.
A proposito di Europa, perché troviamo così tante difficoltà nell’intervenire in un’emergenza che in realtà riguarda tutti, nessuno escluso? “In Russia c’è un detto” – raccontava nei giorni scorsi in un’intervista all’agenzia AGI Serghej Razov, ambasciatore della Federazione Russa in Italia -: “Non esiste il dolore di altri”. Questo concetto dovrebbe essere ancora più vero per Paesi appartenenti a un’Unione. Eppure, nei giorni in cui l’emergenza coronavirus sembrava ancora solo un problema italiano, il resto d’Europa era impegnato a guardare dall’esterno, e più preoccupato di proteggersi che di dare una mano. Il problema è costituito dall’eterna zavorra che grava sull’Unione Europea: quel voler ridurre ogni aspetto della vita sociale, economica, culturale al solo aspetto contabile, e per di più di una contabilità che rasenta quella condominiale, basata sulla ripartizione dei costi in base ai millesimi, e non a criteri di collaborazione e comune benessere. Il dibattito sull’emergenza è presto diventato tutto politico, condizionato dai Paesi che meno hanno sofferto per la pandemia, e tutto incentrato su una questione di costi e di ripartizione degli oneri per prevedere quanto costerà la crisi e chi ne pagherà il conto. Il problema, le cui cause sono molteplici anche se facilmente intuibili, si può riassumere ricordando l’esortazione di Ursula von der Leyen “ad avere un unico cuore grande, piuttosto che 27 cuori piccoli”.
Tornando all’Albania, al momento sembra che l’emergenza coronavirus sia sotto controllo ma c’è un modo in cui l’Italia può ringraziare e rendere il gesto di fratellanza e solidarietà? Certamente questo gesto rappresenta un elemento molto importante non solo nel contesto dei rapporti fra Italia e Albania ma anche in relazione alla collocazione dell’Albania in Europa. Non è da escludere infatti che possa essere proprio l’Italia ad esercitare un ruolo chiave nel favorire il processo di integrazione Europea dell’Albania. Potrebbe inoltre essere questa un’occasione utile affinché l’Italia aumenti gli sforzi per investire in Albania, partecipando all’ammodernamento del Paese, non solo generando lavoro per le imprese italiane, ma apportando in Albania quello spirito manageriale, quella creatività, qui valori che tutto il mondo invidia al nostro sistema imprenditoriale, e che rischiamo, per inazione, di veder rimpiazzati da altre imprese europee portatrici di mentalità ed approcci molti differenti.
Qualcuno vedrebbe dietro questo gesto di grande altruismo, mosse e motivazioni politiche che lo avrebbero generato. Sono solo malelingue o potrebbe davvero nascorndersi qualcosa dietro la solidarietà albanese? C’è sicuramente qualcosa dietro la solidarietà albanese, come dietro ogni azione umana, e quel “qualcosa” ha una motivazione sia politica che sentimentale. Quella politica risiede certamente nell’esigenza dell’Albania di trovare nell’Italia una “sponda” per sostenere il suo processo di adesione all’Unione Europea, e questa scelta deriva, come ho già detto, da quella comunanza di storia, cultura e valori che accomuna i due Paesi. Quello sentimentale, e sicuramente non frutto di un mero calcolo politico, risiede nelle parole del premier Edi Rama: “Non siamo privi di memoria. Da quando l’Italia, le nostre sorelle e fratelli italiani, ci hanno salvati, ospitati e adottati mentre l’Albania bruciava di dolore, da allora l’Italia è anche casa nostra”. Per quanto riguarda la Fondazione Magna Grecia, da me presieduta, posso dire sin d’ora che continueremo ad operare affinché l’amicizia tra i nostri Paesi possa consolidarsi nel reciproco sostegno, produrre progetti solidali ed essere d’esempio in un mondo che, superata questa terribile prova, dovrà ricostruirsi su basi nuove partendo dai grandi valori di cui siamo eredi.