L’Italia dovrà attendere ancora diversi mesi prima di poter mettere la parola “fine” all’emergenza Coronavirus, sebbene la curva dei contagi – soprattutto quella dei guariti e delle vittime – stia iniziando ormai da qualche giorno a mostrare i primi segnali di un’effettiva remissione della fase acuta dell’epidemia. Tuttavia, il lockdown – come fanno notare con sempre maggiore insistenza imprese e aziende – non può essere eterno: ecco allora che l’Italia si prepara all’avvio della cosiddetta “fase 2”, in cui si ipotizza una graduale riapertura delle attività economiche. Ma, non è ancora chiaro né certo secondo quali tempistiche e in quali modalità si eseguirà la tanto attesa riapertura: si stratta di una questione estremamente delicata, rispetto alla quale saranno fondamentali le indicazioni della comunità scientifica italiana.
Le 3 condizioni di Andrea Crisanti. Il direttore dell’Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova, non si dilunga in giri di parole, quando parla di “una ripresa lunga e costellata di focolai”. Il docente, al quale si deve la linea vincente dell’ormai noto modello Zaia attuato in Veneto – tamponi a tappetto anche agli asintomatici –, ha infatti dichiarato a Il Giornale di Sicilia che pur essendo “usciti dalla fase esponenziale dell’epidemia […], siamo ancora in presenza di trasmissione del virus”. Di qui la necessità di procedere gradualmente alla cosiddetta “fase 2”, la quale potrà avvenire solo attraverso una prospettiva locale, che tenga conto delle differenze tra le singole regioni e le singole località, nonché “in presenza – riporta AdnKronos – di 3 condizioni fondamentali”: “Punto primo: non si potrà prescindere dalla distribuzione su larga scala di dispositivi di sicurezza, dalle mascherine ai guanti e così via. Il secondo aspetto indispensabile è il rafforzamento della medicina del territorio e dei servizi sul territorio, a partire dai servizi di diagnosi, senza dimenticare il monitoraggio dei luoghi di lavoro. Ultimo aspetto non meno importante: occorrerà accettare di rinunciare in parte alla propria privacy per garantire il tracciamento elettronico dei contatti nel caso di soggetti infetti”.
Riapertura a breve irrealistica per Burioni e Pregliasco. Già a fine marzo, le due eccellenze italiane, avevano anticipato come la riapertura dopo Pasqua fosse stata a dir poco irrealistica. Per Fabrizio Pregliasco, epidemiologo e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano, era infatti già chiaro che per procedere alla fine dell’isolamento sociale sarebbe stato necessario “aspettare almeno – riporta il sito di Tgcom 24 – fine aprile”. Ma anche ora Pregliasco ribadisce: “siamo ancora in una fase – riporta Open – in cui dobbiamo completare l’opera e come con le medicine amare dobbiamo continuarla a prendere quando funziona, come in questo caso”. Il che significa massima anche dopo la riapertura: se infatti è ragionevole ipotizzare di avviare la fase 2 a partire dal 4 maggio, in ogni caso “l’approccio che dovremo avere per il prossimo anno – chiarisce Pregliasco – è di sentirci tutti potenzialmente malati così da continuare a proteggere noi stessi e i nostri cari”. Posizione fondamentalmente condivisa dal Professore Roberto Burioni, dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Mascherine necessarie nei prossimi mesi per Burioni. “Tutti dovremo girare con le mascherine nei prossimi mesi”, ha affermato il docente dell’università milanese, sottolineando che “per contrastare la pandemia – riporta Il Messaggero – dovremo fare più test, isolare gli infetti e tracciare elettronicamente i contatti”. Il punto cruciale dunque non sembra tanto quando si potrà tornare alla vita normale, ma come. Da questo punto di vista la posizione di Burioni è pienamente in linea con quella di Crisanti: mascherine per tutti, più tamponi e tracciamento elettronico degli ipotetici contagiati. In particolare, ormai – ricorda Burioni – è scientificamente certa la validità delle mascherine, quindi quest’ultime “saranno – conclude il virologo – presidi fondamentali nei prossimi mesi.”