Ad oggi, i dati in Europa e nel mondo mostrano chiaramente come il nuovo Coronavirus sia diventato di fatto parte della nostra quotidianità, ciò almeno fino a quando non sarà individuato un vaccino efficace. Ma, se questo è vero, è altrettanto importante sottolineare come nel frattempo la ricerca scientifica stia lavorando per trovare nuovi approcci di studio del Sars-Cov-2, tali da riuscire, se non a sconfiggere, almeno a limitare la diffusione della pandemia.
Il parere degli esperti. Ne hanno fornito un interessante esempio il microbiologo Andrea Crisanti, il biologo molecolare Stefano Piccolo e il biochimico Fulvio Ursini in un’intervista al giornale Avvenire. I tre docenti del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova convergono infatti sulla necessità di approfondire la ricerca sulle cause per le quali molti asintomatici – a differenza di altri – restino sani. Si tratta del concetto di “tollerabilità”, dal quale potrebbe essere sviluppato un nuovo indirizzo di ricerca scientifica sul Covid-19 dalle potenzialità tutt’altro che sottovalutabili.
Il ruolo dell’infiammazione. Da questi lunghi mesi di convivenza con il Coronavirus è emerso con chiarezza un fatto ormai diffusamente accettato, ovvero che non è il virus in sé ad uccidere coloro che lo hanno contratto, ma è la sproporzionata reazione infiammatoria messa in atto dal corpo per tentare di sconfiggerlo. D’altronde, si tratta di una dinamica tutt’altro che sconosciuta alla medicina, in quanto “situazioni simili sono già note da tempo per spiegare il prodursi di diverse malattie degenerative, allergie, sepsi, e persino tumori […] tutte patologie – ha spiegato il biologo molecolare Stefano Piccolo – spesso riconducibili proprio a una risposta esagerata del nostro corpo nel tentativo di combattere il nemico”. In parole povere, il corpo nel tentativo di sconfiggere l’agente patogeno – o ciò che percepisce come tale – sviluppa una reazione infiammatoria talmente elevata che finisce per uccidere se stesso.
Gli studi. “Fino a oggi – hanno spiegato i tre studiosi – si è operato con gli strumenti dell’epidemiologia, dividendo la popolazione in sani, malati, guariti e deceduti, una necessaria semplificazione che non descrive la reale complessità e che non riesce a definire la componente rilevantissima di soggetti infetti ma non sintomatici”. Tuttavia, è proprio quest’ultima categoria, ovvero gli asintomatici, che necessiterebbe di essere rivista, in quanto comprendente sia coloro che potrebbero sviluppare i sintomi in un secondo momento, sia i moltissimi soggetti – la maggior parte – che invece rimarranno sani. Quest’ultimi vengono definiti “tolleranti” al Covid-19.
Le cause della tollerabilità. Tuttavia, sono ancora sconosciute le ragioni per le quali molti sviluppano questa tollerabilità, ha ammesso Crisanti, sottolineando come invece la loro individuazione potrebbe essere determinante nella cura del virus. Un risultato importante, seppur ancora embrionale, in questo senso è arrivato – ha spiegato il microbiologo dell’Università di Padova – dal californiano Salk Institute for Biological Studies, dove la fisiologa Janelle Ayres stava conducendo, già da prima dell’epidemia, uno studio sul concetto di “tolleranza” rispetto al modo di reagire dei tessuti nei topi ad un’infezione normalmente causa di diarrea. Ebbene, la dottoressa Ayres ha scoperto – come spiegato da Ursini – che “gli animali che non avevano sviluppato la malattia avevano usato le loro riserve di glucosio per appagare i batteri affamati”, una sorta di soluzione di compromesso che ha permesso ai primi di non manifestare la malattia.
Covid-19 e tolleranza. A grandi linee e solo a titolo esemplificativo potremmo dunque dire che quanto avvenuto nei roditori “tolleranti” è molto simile a ciò che permette ai positivi al nuovo Coronavirus di restare asintomatici. È per queste ragioni che ad oggi appare di fondamentale importanza l’approfondimento di questo particolare aspetto del nuovo Coronavirus. Tuttavia, nel frattempo rimane di vitale importanza – raccomandano i tre esperti – continuare a rispettare le regole anti-contagio, l’unico strumento oggettivamente efficace di cui ad oggi disponiamo per controllare la diffusione del nuovo Coronavirus.