“Non nascondo le difficoltà del momento, ma vedo anche delle opportunità e, soprattutto, non facciamo l’errore di pensare sempre ai bambini e ai ragazzi come soggetti deboli. La loro capacità di adattamento alle situazioni è spesso migliore di quella degli adulti”. Queste alcune delle considerazioni del dottor Giuseppe Capovilla, uno dei più autorevoli e stimati neuropsichiatri infantili d’Italia. Primario dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova e direttore del DSMD della stessa azienda, è autore di oltre 170 pubblicazioni scientifiche recensite. Da oltre 40 anni studia e cura l’epilessia. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di livello mondiale quale “Ambasciatore internazionale per l’epilessia”, assegnato ogni anno a 12 luminari scelti tra centinaia di candidati in tutto il mondo. E’ stato presidente dal 2014 al 2017 della Lice-Lega Italiana Contro l’Epilessia. Ci spiega in questa intervista il rapporto tra bambini, minori e costrizione sociale a causa dell’epidemia in una chiave di lettura non solo allarmistica.
I bambini e la costrizione in casa. Il blocco di tutte le attività sociali e il conseguente obbligo a stare a casa per un periodo prolungato e forzato di tempo può avere ricadute psicologiche sui bambini e i ragazzi in generale?
E’ necessaria una premessa. Dobbiamo distinguere tra bambini e adolescenti. Parliamo di realtà, sotto il profilo psicologico, e non solo, molto diverse. I bambini, semplificando un po’, sono coloro che frequentano le scuole materne e elementari e hanno un profilo psicologico differente da coloro che frequentano le medie e le scuole superiori. Bambini e adolescenti sono in fasi differenti dello sviluppo e di conseguenza reagiscono in modo differente a stimoli esterni. Solo per fare un esempio, gli adolescenti hanno un accesso molto marcato ai social, a differenza dei bambini che hanno così, meno possibilità di “socializzazione”. Le ricadute della costrizione sociale a causa di un pericolo per la salute che in diversi casi ha effetti letali, è evidente che produce paure per tutti, compresi i minori, anche se in modo diverso. I bambini hanno meno patofobie e queste sono meno strutturate, a differenza degli adolescenti. Certamente una delle cose che costa di più ai bambini in questa fase è la perdita dell’attività motoria, sportiva, del giocare insieme ai loro compagni. Questa dimensione è per loro molto importante e il momentaneo annullamento è certamente causa di stress, ma non al punto da metterci in allarme. I bambini, non dimentichiamolo, hanno una grande capacità di adattamento e in questo sono più “bravi” degli adulti, anche perché hanno un futuro lungo davanti e lo sanno (“quando divento grande”). Le paure dei ragazzi e degli adolescenti sono molto rivolte anche verso altri aspetti, quali la perdita dei familiari a causa del virus, oppure alle conseguenze negative del peggioramento della situazione economica dei genitori che vedono perdere il lavoro o ridurre la propria capacità di reddito, con inevitabili ripercussioni sul tenore di vita.
Secondo lo psichiatra Paolo Crepet, chi subirà le conseguenze peggiori sotto il profilo psicologico alla fine della pandemia saranno i ragazzi e il danno resterà a lungo. In particolare, sottolinea, si sta perdendo in questo periodo la dimensione sociale della scuola e degli amici. Come commenta queste affermazioni?
Non sono d’accordo con Crepet. La mia lunga esperienza con i minori mi insegna che loro sono i più resilienti. E’ una moda pensare che i minori siano più deboli. I minori, parlando in generale, hanno una grande capacità di adattamento alle situazioni, comprese quelle problematiche. Certo, dobbiamo poi fare dei distinguo in relazione ai contesti e agli ambienti famigliari in cui si trovano. Questo può fare la differenza. Questa, tuttavia, che è oggettivamente una situazione forzata e innaturale, in realtà potrebbe comportare anche delle opportunità e dei risvolti positivi. Bambini e ragazzi, per esempio, adesso trascorrono molto più tempo con i genitori che sono forzatamente a casa, e questo potrebbe rafforzare il rapporto intrafamiliare. Ancora, per ragioni di lavoro, i genitori sono costretti a delegare ad altri componenti la famiglia la gestione dei figli, in genere i nonni, figure fondamentali e positive da molti punti di vista ma, a volte, un po’ troppo interferenti dal punto di vista educativo. E poi, diciamolo, spesso delegare la gestione dei propri figli fa comodo perché fare il genitore costa fatica. Molti genitori sanno cosa è bene per i loro figli ma spesso non hanno la forza e le energie per poterlo fare e quindi tendono a delegare, anche perché stressati dal lavoro. E’ normale. Fare i genitori è faticoso. Questa situazione forzata è un’occasione per sviluppare un miglior rapporto tra minori e genitori. Quindi, il fatto di assumersi direttamente l’educazione dei figli, può avere ripercussioni positive. Rispetto alla perdita della dimensione sociale cui fa riferimento Crepet, questo è molto più vero per i piccoli, per loro è certamente un problema ma sarà rapidamente recuperabile. Ma per gli adolescenti, invece, questo aspetto problematico è molto meno evidente per la loro abitudine all’utilizzo dei social nella realtà “normale” e, quindi, loro avvertono meno il peso dell’isolamento forzato. Certo, altri aspetti relazionali non sono sostituibili con lo smartphone ma certamente non vi sarà un reale isolamento.
Non c’è il rischio di un uso eccessivo e quindi di un abuso dei social, degli smart phone e in generale delle tecnologie anche a fini ludici che potrebbero spingerci ad un utilizzo semi-patologico di questi strumenti?
Anche in questo caso, pur non sottovalutando i rischi di abuso dei nuovi strumenti di svago e di socializzazione, vedo tuttavia anche molte opportunità. Abbiamo la possibilità di far capire ai ragazzi che esiste la possibilità di un uso differente di quello che, magari, fino ad oggi hanno utilizzato solo per svago. Si pensi all’utilizzo dei tablet per l’apprendimento a distanza e per l’e-learning, cui stanno ricorrendo milioni di scolari (anche delle elementari) che fino a qualche settimana fa vedevano in questi device solo degli strumenti per attività solo ludiche e/o sociali. Sta maturando invece, in seguito a questa fase critica, un utilizzo di questi strumenti diverso da quello fatto fino ad oggi, che ne valorizza le loro potenzialità e caratteristiche. Si tratta di un’esperienza di crescita. Questo è il messaggio che dobbiamo essere bravi a veicolare. E poi, il rapporto tra nuove tecnologie di comunicazione e la loro influenza sulla psicologia delle persone e i processi di socializzazione è un tema ricorrente che si ripropone ad ogni innovazione tecnologica in questo senso. Mi sono occupato spesso, in un ormai lontano passato, del tema dell’abuso della televisione. Abbiamo scritto e detto molto su questo e spesso si è esagerato nelle letture apocalittiche e nelle azioni di contrasto. Si è spesso confusa una degenerazione patologica di tale rapporto, circoscritta ad una componente minoritaria della popolazione, con un giudizio negativo generalizzato. Lo stesso errore alcuni lo stanno compiendo, a mio avviso per pregiudizio, nella valutazione degli impatti delle nuove tecnologie sulla psiche dei giovani e sui nuovi processi di socializzazione, con il rischio di confondere l’uso patologico, minoritario con quello normale e positivo, maggioritario.
Ad un certo punto questo aspetto è emerso nel dibattito pubblico intorno alle misure di contenimento sociale per l’epidemia in corso. L’idea paventata è la possibilità di un genitore di far fare una passeggiata ai propri piccoli in condizioni comunque di distanziamento sociale. La cosa ha scatenato molte polemiche. Qual è la sua opinione?
In questo caso la situazione è a macchia di leopardo. Dipende anche molto da situazioni logistico-geografiche. Ci sono famiglie e ragazzi che vivono in contesti periferici o rurali, in case che hanno giardini e possibilità di stare all’aperto, ed è ovvio che in questi casi la situazione è più tollerabile. Laddove, invece, i ragazzi vivono nei condomini e nei palazzi della città, magari in piccoli appartamenti, allora l’impossibilità di poter uscire e stare all’aperto è penalizzante. Ma insisto su un punto. Non facciamo l’errore di pensare ai bambini come soggetti deboli. In questa situazione la loro capacità di adattamento è maggiore degli adulti. Semmai, la preoccupazione va alle situazioni di oggettiva difficoltà di bambini che presentano problematiche psico-fisiche più o meno importanti e che vedono i loro centri di riabilitazione chiusi. Questo è un grosso problema. Questi sono i reali soggetti deboli che avrebbero bisogno di maggiori attenzioni e sostegni e potrebbero subire conseguenze rilevanti, e, anche se qualcosa si sta facendo, si deve cercare di fare di più per loro. Da questo punto di vista mi aspetto, quando la quarantena generalizzata sarà superata, un’attività specifica e aggiuntiva di recupero da parte dei neuropsichiatri infantili e di tutti coloro che si occupano della loro presa in carico. C’è da aggiungere, tuttavia, che la normativa attuale sulle restrizione permette comunque delle deroghe per le persone che hanno problematicità e con il certificato dello specialista, ne ho firmati diversi in queste settimane, posso uscire, passeggiare accompagnati, fare un giro in macchina e così via.
Come sarà il dopo per i bambini? Questo periodo straordinario lascerà tracce? I genitori cosa possono fare? I genitori devono avere un rapporto trasparente con i ragazzi, soprattutto verso i bambini, dire loro come stanno realmente le cose e usare un linguaggio semplice e trasparente. Non bisogna pensare che i bambini non possano capire. In realtà comprendono tutto e hanno la possibilità di accedere a informazioni in una molteplicità di modi, dalla navigazione online, alla televisione, ad altre forme di comunicazione. Quindi, non edulcoriamo la realtà ma parliamone in maniera semplice e auten