L’aggressione ai riders non è solo un tema di emergenza collegata alle politiche – inesistenti – del lavoro. Credo che si debba guardare a questo fenomeno con attenzione sociale e sociologica e con una certa preoccupazione.
Siamo di fronte ad una scelta: liquidare il tutto come il solito atto dettato dalla stupidità giovanile oppure ragionare con un grado di approfondimento più serio e ovviamente più pericoloso e doloroso. Dal punto di vista mediatico mi sembra che la decisione sia stata presa, erano giovani legati alla malavita e quindi non andranno oltre.
Non mi piace affatto questo regime dirigista che determina cosa sia importante oppure no, quando il rider diventa simbolo di una società classista e discriminatoria e quando, invece, è solo l’uomo sbagliato nel momento sbagliato e nel posto sbagliato. Derubare un uomo del proprio mezzo di lavoro, non del Rolex, non della Ferrari, è un atto di una gravità sociale incredibile! Ancor più incredibile, però, è l’assenza di reazione da parte della cosiddetta società civile che mi fa pensare a scelte condizionate da eventuali likes sui social. Mi spiego.
Molto più conveniente dal punto di vista mediatico supportare una presunta battaglia dal sapere altamente populista quando il rider rappresenterebbe il nuovo salario di quanto non sia conveniente prendere atto che le nostre scelte ideologiche, politiche, sociali, economiche e filosofiche hanno inaridito la società che si esprime attraverso l’eredità etica che lasciano alle generazioni future. Ecco il nostro drammatico risultato: uomini in difficoltà (economica) che vengono rapinati da giovani uomini in assenza di valori.
In tutto questo, come ben argomentato da Alessandro Paone nel suo articolo su Il Mattino, il lavoro, le politiche del lavoro, giocano un ruolo primario poiché è la nostra stessa Costituzione che individua nel lavoro elemento determinante per la crescita etica e morale dell’individuo che attraverso di esso contribuisce alla crescita morale dell’intera comunità.