L’hanno chiamato pane Buono perché buono lo è davvero (i suoi ingredienti sono il lievito madre, la farina controllata e garantita, e l’arte del saper fare), ma anche perché il messaggio che vuole trasmettere è che c’è del “buono” in tutti. È un pane che viene prodotto infatti dietro le sbarre del carcere di massima sicurezza di Opera (Milano) da cinque detenuti che hanno imparato il mestiere e che ora hanno uno stipendio e una prospettiva in più per il futuro.
Il progetto – La cooperativa sociale che ha ideato l’iniziativa si chiama IN Opera: fondata da Roberto Bogino, lo scorso agosto ha preso in gestione un laboratorio di panificazione sito al piano terra del carcere e ha avviato il programma finanziando macchinari e formazione con il capitale dei soci fondatori. Cinque i detenuti selezionati insieme alla dirigenza del penitenziario a cui insegnare un lavoro con l’obiettivo di aiutare la loro ricollocazione lavorativa e sociale: si chiamano Claudio, Pino, Rocco, Costel e Massimiliano, sono italiani e stranieri, hanno tra i 29 e i 53 anni e tra di loro c’è chi ha trascorso metà della sua vita in una cella o anche chi deve scontare l’ergastolo.
Dopo aver sostenuto un corso di panificazione con il maestro Ezio Marinato di Alma Scuola cucina, hanno imparato a fare il pane e questa è diventata la loro professione. Giacinto Siciliano, direttore dell’istituto, ha affermato: “Quando si offre loro la possibilità di fare qualcosa di utile, sanno cogliere l’offerta e sfruttarla al meglio. L’economia carceraria non deve però piegarsi a una logica assistenzialista. I prodotti del carcere non vanno comprati perché provengono dal carcere ma perché sono di qualità”.
Il lavoro dietro le sbarre – “I detenuti lavorano sette giorni su sette, iniziano la sera intorno alle 23 e finiscono alle 6 di mattina. Li abbiamo assunti con contratto di panificatore e li paghiamo 7,50 euro netti l’ora, per 40 ore a settimana – racconta Mauro Bossi, uno dei soci fondatori oltre che volontario della cooperativa – Il pane viene venduto poi a 6 euro al chilo ai mercati, ai ristoranti, ai negozi”. Le farine macinate a pietra vengono fornite a prezzi contenuti dalla Molino di Pordenone Spa, mentre i macchinari dalle Esmach Spa, due imprese che hanno creduto nel progetto.
“I detenuti si impegnano, quando sbagliano non accampano scuse e, nonostante molti vivano un dramma dentro di loro, in panetteria si respira una grande umanità – continua Mauro – in questi mesi ho più ricevuto che dato”. Se per Rocco la possibilità di lavorare significa aiutare la propria famiglia, sentirsi realizzato e provare la soddisfazione che proviene dal dare la vita al pane, per Pino questa professione è un gesto d’amore che lo rende felice di fare qualcosa per gli altri. Costel pensa già a come servirsi di quanto imparato quando sarà libero e non è il solo. Per Claudio fare il pane “è come intravedere la luce nel buio”.