I professionisti italiani sono interessati all’ICT, ma la diffusione delle nuove tecnologie tra avvocati, commercialisti e consulenti del lavori resta ancora limitata. A parte firma digitale, banche dati e home banking, soluzioni come CRM, portali e siti web, firma grafometrica e workflow management appaiono una rarità negli studi professionali. E i budget di spesa per l’ICT sono ridotti: quasi metà degli studi é disposto a spendere per la tecnologia nel prossimo biennio al massimo 3 mila euro, privilegiando per la parte hardware PC più potenti e per i software conservazione sostitutiva, dispositivi per i pagamenti elettronici e firma grafometrica. I principali ostacoli – dichiarati dagli stessi professionisti – sono legati all’alfabetizzazione informatica dei titolari degli studi, ai costi elevati dei software e alla difficoltà nel conoscere l’offerta del mercato.
Eppure, in un settore che non è risparmiato dalla crisi, con il 35% degli studi che nel 2012 registra una riduzione della redditività superiore al 10%, la tecnologia potrebbe creare maggiore efficienza, liberare tempo alle attività amministrative (che impegnano tra il 36% e il 48% del totale) e aprire a nuove idee di business. Ma, soprattutto, la diffusione dell’ICT tra avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro è fondamentale per l’innovazione del sistema imprenditoriale italiano, composto in maggioranza da PMI. Perché se parliamo di professionisti, parliamo di imprese: le misure di sostegno al mondo produttivo devono riguardare anche il mondo delle professioni che si integrano con le aziende clienti.
Lo spiega la ricerca dell’Osservatorio ICT & Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net), presentata questa mattina al convegno “Se parliamo di professionisti, in realtà parliamo di imprese!” che si è tenuto al Politecnico di Milano. I quasi 434 mila professionisti italiani – avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro – gestiscono le contabilità dei clienti, coadiuvano gli imprenditori nella gestione della tesoreria, si occupano di recupero crediti, amministrazione del personale e aspetti fiscali, siedono negli organi di indirizzo e controllo delle realtà più strutturate, spesso affiancano i titolari nelle scelte strategiche e li aiutano nella gestione dei patrimoni personali. Sono quindi parte integrante dell’impresa e la loro integrazione non è solo espressione di un rapporto di fornitura, ma di un processo lavorativo integrato con quelli svolti all’interno delle Imprese.
“Proprio per il ruolo ricoperto dalle professioni nella relazione con il mondo dell’Impresa, non si può pensare a misure a sostegno delle aziende senza considerare tra i destinatari i professionisti – afferma Claudio Rorato, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio ICT & Professionisti della School of Management del Politecnico a Milano –. Se il 18% oggi manifesta disinteresse a investire in ICT nei prossimi due anni e il 48% si dichiara disposto a spendere nel prossimo biennio al massimo 3 mila euro, non servono solamente bonus finanziari per investimenti tecnologici, ma è necessario accrescere l’alfabetizzazione digitale della categoria. Perché solo con una nuova visione sistemica si può attivare il circolo virtuoso dell’innovazione che lega professionisti e imprese”.
La diffusione delle tecnologie – La diffusione dell’ICT negli studi è ancora scarsa, nonostante alcuni problemi evidenti come la produzione di documentazione cartacea e lo svolgimento di attività con un elevato apporto manuale. Le tecnologie più diffuse, già presenti nella maggioranza negli studi italiani, sono la firma digitale (nel 78% dei casi) e l’home banking (76%), seguite dai dai software di gestione elettronica documentale (46%) e poi, in misura minore, il sito internet “vetrina” (21%), l’eLearing (20%) e il controllo di gestione per lo studio (19%). “Oltre alle tecnologie già in uso per la dematerializzazione dei documenti e ai semplici applicativi, insomma, ancora oggi non entrano nell’attività lavorativa degli studi professionali soluzioni come CRM, portali e siti web, firma grafometrica, Workflow management – spiega Claudio Rorato –. Il business delle professioni appare ancora tradizionale nei contenuti e nelle prassi di conduzione. La tecnologia potrebbe assistere invece l’apertura di nuove idee di business assistite dalle tecnologie o prassi lavorative più snelle”.
Si rileva inoltre come alcuni studi professionali manifestino indifferenza per certe tecnologie (in particolare per business intelligence, CRM, workflow, eLearning, firma grafometrica e controllo di gestione per lo studio), anche se una buona parte ammette di non conoscere alcune soluzioni (il 27% non sa cosa sia il workflow, il 23% per il CRM, il 19% per la business intelligence): dati che dimostrano la necessità di aumentare l’alfabetizzazione informatica della categoria.
Il budget di spesa per l’ICT – I professionisti italiani si mostrano interessati alle soluzioni ICT – in particolare cloud, firma grafometrica, APP – ma i budget di spesa dedicati nel prossimo biennio restano limitati. L’83% degli studi professionali dichiara la disponibilità a investire in tecnologia nei prossimi due anni,ma il 27% di questi dedicherà un budget compreso tra mille e 3 mila euro, il 21% al massimo mille euro e solo il 16% tra 3 mila e 5 mila euro. Tra le singole professioni, analizzando i valori medi e centrali per ciascuna fascia di investimento, emerge che gli avvocati sono disposti a investire in ICT fino a 2 mila euro, i commercialisti fino a 6 mila euro e i consulenti del lavoro poco più di 8 mila euro. Gli studi multidisciplinari, evidentemente per la maggior dimensione e trasversalità professionale, ipotizzano oltre 12 mila euro di investimento. La resistenza maggiore a stimolare l’investimento in ICT è dovuta prevalentemente alle priorità diverse. Quale sarà, la destinazione degli investimenti? Il 46% darà la priorità a PC più potenti e, a seguire, a server, stampanti e scanner (19%, 18% e 15% rispettivamente). Il 33%, invece, non investirà in hardware.
“La natura di questi investimenti sottolinea come ci sia ancora una difficoltà a percepire concretamente la capacità di generare valore da parte delle ICT – commenta Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio ICT&Professionisti – si privilegia la performance dello strumento, come i PC più potenti, e non quella di processo. Non emerge la volontà concreta di riorientare il business, prevalentemente ancora di natura tradizionale, verso nuove forme di servizio in grado di diversificare i rischi, proteggere la marginalità, sviluppare nuove opportunità. L’alfabetizzazione digitale, che impegni le istituzioni politiche e professionali, diventa allora cruciale per la diffusione di una cultura tecnologica presso i professionisti, per far percepire chiaramente perché una tecnologia può generare valore e, soprattutto, dove lo può creare”.
La volontà a investire cresce con l’aumentare della redditività (dal 75% per coloro che hanno rilevato una contrazione della redditività superiore al 10% all’86% per coloro che dichiarano una redditività stabile, fino al 90% per coloro che hanno avuto una crescita superiore al 10%), ma emerge anche come gli investimenti non vengano indirizzati sulle tecnologie che creano valore stabile per il lavoro.
Benefici e ostacoli – Il sentiment degli studi professionali verso la tecnologia appare in generale positivo, riconoscendo i benefici che questa è in grado di generare. All’ICT viene riconosciuta la capacità di creare efficienza e nuovi servizi (con l’85%-96% di accordo tra i professionisti). Inoltre la maggioranza dei professionisti riconosce una correlazione positiva tra tecnologia e redditività, ma emerge anche una certa difficoltà a dare un valore quantitativo ai benefici, percepiti soprattutto in termini generali. Il percorso di avvicinamento alle tecnologie mostra al tempo stesso attrazione e diffidenza, anche se la percezione tendenziale è positiva.
Emergono anche le difficoltà che condizionano la diffusione delle tecnologie presso gli studi. In particolare, sono l’alfabetizzazione informatica dei titolari (42%), il livello dei costi dei software (30%), la difficoltà a conoscere realmente l’offerta del mercato (23%). Il 21%, invece, non ravvisa problemi particolari. Analizzando le singole professioni, gli avvocati riconoscono più di tutti un valore elevato alla scarsa alfabetizzazione dei titolari di studio (49%), mentre i consulenti del lavoro individuano tra le cause più importanti la lentezza di Internet (21%). Per gli studi multidisciplinari, infine, la prima ragione è la lentezza di Internet (32%), seguita dalla scarsa alfabetizzazione dei titolari di studio (30%), dalla scarsa alfabetizzazione del personale (29%) e dai costi dei software (28%).
La gestione dei documenti – L’attività svolta da avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro produce una grande mole di documenti cartacei che saturano gli archivi e impiegano tempo per la custodia, ma le prassi di “dematerializzazione” dei documenti e gli strumenti che possono aiutare a rendere più efficienti alcune attività non sono ancora diffusi. Il 42% dei commercialisti, il 58% degli avvocati e il 35% dei consulenti del lavoro affronta la situazione con la scansione dei documenti cartacei, creando archivi elettronici, ma mantenendo ancora la carta o ricorrendo a fornitori esterni. Solo il 26% dei commercialisti, il 17% degli avvocati e il 33% dei consulenti del lavoro pensa invece di ricorrere alla conservazione a norma dei documenti già in PDF o trasformati in formato PDF con la scansione dei documenti cattacei. Anche per i fax, il 62% dei commercialisti, l’80% degli avvocati e il 51% dei consulenti del lavoro ricorre alla fotocopia e all’archiviazione cartacea, mentre una minima parte prevede la scansione e l’archiviazione in cartelle elettroniche o l’archiviazione diretta nei server in digitale. Per quanto riguarda le e-mail di interesse, il 69% dei commercialisti, l’87% degli avvocati e il 56% dei consulenti del lavoro le stampa e le archivia all’interno delle pratiche di competenza.
Analizzando l’utilizzo dei principali sistemi di gestione documentale (software di gestione elettronica documentale GED, conservazione a norma dei documenti interni dello studio e portali per la trasmissione elettronica dei documenti con la clientela) conferma questa tendenza. Gli avvocati e i consulenti del lavoro utilizzano la GED più dei commercialisti (il 51% contro il 36%); la conservazione a norma, invece, vede i consulenti del lavoro presenti al 35%, contro il 14% di commercialisti e avvocati; i portali invece sono più utilizzati dai consulenti del lavoro (33%), che lasciano più indietro commercialisti (11%) e avvocati (6%).
I modelli di organizzazione – Con l’eccezione dei commercialisti, che appaiono i più orientati alla gestione del business a tutto tondo e i più efficienti nella parte amministrativa, gli studi professionali dedicano molto tempo alla parte amministrativa, che potrebbe essere in parte “liberata”, a favore delle attività principali. Nel dettaglio, i commercialisti dedicano il 50% del tempo dello studio alle attività lavorative “core”, comprensive della gestione del cliente e delle attività di sviluppo, mentre gli avvocati scendono al 42% e i consulenti del lavoro al 34%. I processi di supporto, comprensivi della gestione dell’ICT e delle attività formative, assorbono invece tra il 14% e il 18% del tempo delle tre professioni. Infine, i processi amministrativi, comprensivi delle attività relative alla contabilità, al personale, agli acquisti ordinari e agli archivi, pesano il 36% tra i commercialisti, il 39% tra gli avvocati e il 48% tra i consulenti del lavoro. Nonostante il tempo sia una variabile chiave, solo il 31% dei commercialisti, il 37% dei consulenti del lavoro e il 9% degli avvocati, controlla in modo più o meno strutturato il tempo assorbito da clienti/attività.
I mobile workers – I professionisti si stanno avvicinando con cautela allo svolgimento di attività di lavoro con strumenti mobili e al mondo delle APP. Ma il potenziale appare alto, poiché ben il 42% del totale dei professionisti trascorre almeno il 50% del tempo lavorativo fuori dallo studio (i commercialisti nel 38% dei casi, gli avvocati nel 46% e i consulenti del lavoro nel 33%). I mobile workers più assidui – quelli cioè che occupano almeno la metà del loro tempo lavorativo “esterno” utilizzando smartphone, tablet o PC portatili – sono i professionisti degli studi associati e gli avvocati (12%), seguiti dai commercialisti (8%) e dai consulenti del lavoro (3%). Le attività svolte più frequentemente sono la lettura dell’email (19%), la navigazione in Internet (17%), la lavorazione di documenti (10%) e la consultazione di dati dello studio (9%). I dispositivi più utilizzati sono gli smartphone, seguiti dai PC portatili e dai tablet: i primi usati prevalentemente per gestire le eMail (26%), i secondi per lavorare su documenti (26%), mentre i tablet, invece, per navigare in Internet (19%). Nessuna professione risulta più mobile worker delle altre.
Il 26% dei professionisti usa APP a contenuto professionale nelle loro varie forme, mentre il 45% dimostra disinteresse, soprattutto perché lavora poco in mobilità (30%). Tra le categorie professionali i più assidui utilizzatori di APP professionali sono gli avvocati (29%), seguiti dai consulenti del lavoro (23%) e, per finire, dai commercialisti (21%). Gli studi multidisciplinari raggiungono la percentuale più alta, pari al 32%.
Professioni e nuove tecnologie
E’ ancora scarsa la diffusione di strumenti di lavoro digitali negli studi di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e consulenti vari.
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