Una radiografia accurata della ricerca scientifica in Europa: è il lavoro messo a punto dal portale www.scienceonthenet.eu che, alla vigilia del battesimo di Horizon 2020 (nuova piattaforma europea di finanziamento per la ricerca e l’innovazione) ha elaborato i dati del precedente programma quadro, l’FP7 (Framework Programme for Research and Technological Development) riferito agli anni 2007/2013.
I DATI. Ciò che emerge dall’indagine presentata ieri a Roma nella sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche, è la buona performance dei ricercatori italiani in termini di partecipazione ai progetti europei (tenendo conto, soprattutto, delle scarse risorse investite in innovazione nel nostro paese rispetto alle somme erogate dagli altri Stati dell’Unione). Nel dettaglio, con più di 10.000 adesioni, l’Italia si colloca al quarto posto per numero di partecipazioni complessive ai progetti di ricerca e innovazione, dopo Germania, Regno Unito, Francia e prima della Spagna. Sono questi cinque paesi, insieme, a raccogliere il 50% totale delle partecipazioni ai progetti. Su alcuni settori specifici, inoltre, l’Italia occupa posizioni più alte in classifica: è il caso dei temi ICT (Information Communication Technology), Spazio e Ambiente, dove l’Italia risulta terza dopo Germania e Regno Unito, e dei temi Regions (cooperazione territoriale per l’innovazione) e JTI (iniziative tecnologiche congiunte), in cui l’Italia occupa rispettivamente la prima e la seconda posizione. Le regioni che nel nostro paese hanno partecipato a più progetti sono Lazio (2735 partecipazioni), Lombardia (2056) e Piemonte (1039), mentre le istituzioni più attive sono il Consiglio Nazionale delle Ricerche (631), l’università Alma Mater di Bologna (226), il Politecnico di Milano (221), l’università La Sapienza di Roma (186), il centro ricerche Fiat Scpa (180) e il Politecnico di Torino (176).
Horizon 2020. Questi, dunque, i numeri del passato. Il futuro della ricerca europea, invece, passerà da Horizon 2020, il nuovo programma quadro dell’Ue per sostenere ricerca e innovazione. Tra il 2014 e il 2020 la piattaforma avrà una dotazione di 80 miliardi di euro e per il primo biennio potrà investire fino a 15 miliardi. Eccellenza scientifica, Leadership industriale e Sfide della società sono i tre assi su cui si muoveranno i progetti di Horizon. In termini più specifici, le aree su cui l’Unione Europe ha deciso di puntare sono la sanità, le nanotecnologie, la robotica, le biotecnologie, la ricerca spaziale, l’agricoltura, i trasporti, le comunicazioni, l’ambiente e l’efficienza energetica.
Le criticità. “Con Horizon 2020 l’Europa ci offre delle opportunità – sostiene il presidente del Cnr, Luigi Nicolais – ma per poterle cogliere e sfruttarle al meglio la nostra politica deve investire di più in ricerca, capendo che l’innovazione non è il fiore all’occhiello di un Paese ma la base su cui si fondano competitività e crescita economica”. Un punto di vista condiviso da Ignazio Marino, sindaco di Roma e medico con esperienza in centri di ricerca italiani e americani: “A Lisbona i Paesi dell’Ue indicarono come obiettivo minimo per la ricerca un investimento pari al 3% del Pil. In Italia, a distanza di 14 anni, l’investimento è passato dall’1,20% all’1,18. Questo stato di cose deve cambiare, a partire da scelte molto precise: non è più pensabile, ad esempio, lasciare intatti i finanziamenti del settore bellico e continuare a ridimensionare i fondi per la ricerca”. “In Italia i ricercatori guadagnano la metà degli omologhi tedeschi e poco più della metà dei francesi – conclude Nicolais –. Questo dato ci dice tutto, spiega la fuga dei cervelli e, in definitiva, non è più tollerabile”.