Ci risiamo. Taglio agli stipendi, riduzione dell’orario di lavoro a 6 ore, blocco degli aumenti salariali legati all’inflazione e dei premi aziendali, riduzione della pause. Questa la proposta shock che il colosso svedese degli elettrodomestici ha fatto ai lavoratori in cambio della conservazione del posto di lavoro, anche se non per tutti. I dettagli della proposta non sono ancora chiari mentre il senso, per contro, lo è fin troppo. Se non si accetta un piano di riduzione del costo del lavoro del 20 per cento l’azienda trasloca altrove.
Il lavoro tra Italia e Polonia – Le reazioni sono state ovviamente forti. Tuttavia, è necessario fare i conti con la realtà. Il settore cosiddetto del “bianco”, ossia delle aziende che producono elettrodomestici è in profonda crisi, schiacciato dal calo dei consumi del 25% sul 2007 in Italia e del 10% in Europa e dalla crescente concorrenza che viene da paesi a basso costo di manodopera e molto vicini geograficamente come Polonia e Turchia. Questo è un settore che in 5 anni ha visto dimezzare il volume delle produzioni. Le cifre, che più di tante parole spiegano la questione, sono eloquenti: il costo del lavoro in Polonia è circa 7 euro l’ora, in Italia 24 euro l’ora.
Le due verità – Di fronte un quadro di questo tipo bisogna capire il punto di vista dell’azienda, altrimenti non si va da nessuna parte. Non entro nel merito della proposta perché non conoscono i dettagli, ma la questione di fondo rimane. Dall’altra parte, ovviamente, ci sono i lavoratori. Migliaia di famiglie che già fanno fatica con 1.200 euro al mese e che una prospettiva di riduzione ulteriore del salario metterebbe in grave difficoltà. Qual è l’alternativa? E’ evidente che di fronte due verità, se si vuole salvare azienda e lavoro bisogna trovare un punto d’incontro che riduca il costo del lavoro per l’azienda, mantenga i posti di lavoro e garantisca comunque un livello salariale accettabile.
Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Eppure una soluzione va trovata, per il bene di tutti. La vicenda della Electrolux, infatti, ci riguarda molto da vicino, perché in gioco c’è il destino industriale dell’Italia e con esso quello di centinai di migliaia di posti di lavoro. Quello che sta succedendo alla Electrolux, più o meno negli stessi termini, riguarda la gran parte dell’industria e del manifatturiero nel nostro Paese. A questo punto serve un intervento non episodico ma di natura strutturale del Governo e della politica tutta.
Avanzo una proposta. Il fondo appena istituto per la riduzione del cuneo fiscale sia utilizzato per accordi sindacali di riduzione del costo del lavoro nelle aziende in procinto di delocalizzare. Oggi, con le risorse a disposizione del fondo non si ottiene nessun cambiamento delle condizioni materiali dei lavoratori, laddove si garantisce un aumento generalizzato dello stipendio di 15 euro al mese. Anzi, l’unico risultato è il grave spreco di ingenti risorse pubbliche che potremmo collocare meglio. Nel triennio 2014-2016 sono stati stanziati 8,7 miliardi e nella spending review si prevede per lo stesso periodo il recupero di ulteriori 32 miliardi per alimentare il fondo. Ebbene, perché non dirottiamo questi soldi verso accordi sindacali in cui si riconosce una riduzione del costo del lavoro all’azienda in crisi e contemporaneamente si salvaguardano i livelli salariali dei lavoratori? La condizione per lo sblocco di queste risorse, però, dovrebbe essere subordinata alla realizzazione di un piano d’investimento dell’azienda in questione in Italia. Il risultato sarebbe la conservazione dei posti di lavoro, la tutela dei livelli reddito, la competitività dell’azienda e la creazione di nuova occupazione. Ovviamente questo non vuol dire rinunciare al taglio graduale del cuneo fiscale ma di fare scelte di priorità.
Fantaeconomia? Chi ha proposte migliori le avanzi pure. Ma lo faccia in fretta, però, perché siamo al crepuscolo dell’era industriale in Italia.
Una considerazione finale. Non so se quanto proposto sia possibile in base alle regole europee sulla concorrenza e la questione degli aiuti di Stato. Ma se non fosse fattibile per i vincoli citati, allora quest’Europa, così com’è, serve davvero a poco.