Questa dimensione “virtuosa” – continua la nota – potrebbe costituire, però, un rischio per il nostro Paese: a fronte di tassi di riferimento uguali nell’euroarea (4,5%), un’inflazione sotto l’1% implica tassi d’interesse reali non coerenti con le necessità di investimento privato a sostegno e completamento delle ingenti risorse pubbliche del PNRR. Si amplia, infatti, la forbice tra inflazione core in Italia (2,2%) e nel resto dell’Europa (2,9%), raggiungendo i sette decimi di punto dai cinque decimi di aprile. Del resto, per quanto riguarda l’Italia, i residui e marginali impulsi inflazionistici sono confinati a fattori stagionali, come nel caso degli alimentari non lavorati e dei servizi ricettivi e di ristorazione.
La stabilizzazione dell’inflazione su valori attorno all’1% rappresenta – conclude l’Ufficio Studi – la chiave per una nuova fase di crescita dei consumi, indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo di crescita per l’anno in corso all’1%. La domanda delle famiglie appare ancora molto fragile: dopo la riduzione congiunturale registrata nell’ultimo quarto del 2023 (-1,4%), la variazione del primo trimestre del 2024 si ferma allo 0,3%. Se questo fenomeno si cronicizzasse, diventerebbe un serio problema per le prospettive future dell’intero sistema economico.