La prima reazione a caldo è questa: finalmente un piano sull’occupazione che parla di sviluppo e politica industriale. Siamo ancora ai titoli e prima di esprimere giudizi è bene aspettare la presentazione del piano nei suoi dettagli, tuttavia, la novità d’impostazione, in attesa della sostanza, merita attenzione.
Fin qui, molti hanno pensato che la questione fosse nelle mani dei giuslavoristi, o fantomatici tecnici alla Fornero per intenderci, i quali tramite “innovative” formule legislative sul lavoro avrebbero dovuto magicamente tirar fuori dal cilindro posti di lavoro.
Il lavoro lo crea l’impresa che cresce – Chi imputa ad una legge sul lavoro, compresi i bonus del Governo Letta, la capacità determinante di creare nuovi posti di lavoro, mi spiace dirlo con crudezza, ma non ha capito niente di come funzionano le dinamiche occupazionali.
In questo senso, con tutte le cautele del caso, mi sembra che l’impostazione del piano di Renzi non risenta di questo errore e punta diritto alla fonte: mettere le imprese nelle condizioni di crescere e creare, di conseguenza, nuova occupazione. Questo mi pare l’obiettivo indicato nel documento laddove parla di politica industriale per la creazione di nuovi posti di lavoro. Il giudizio definitivo, adesso, si sposterà al piano operativo che ancora latita. Vedremo, quando ci forniranno i dettagli, se alle intenzioni corrisponderanno adeguate misure, oppure ci troveremo di fronte l’ennesimo “spot” sul lavoro che nasconderebbe un pericolosissimo nulla di fatto.
Contratto a tutele crescenti per combattere la precarietà. Che abbaglio! – Veniamo alla questione sulle regole del lavoro, che anche Renzi intende ritoccare e alle quali dedica il terzo capitolo del suo piano. Qui ho molte perplessità e profondi dubbi quando si parla, molto genericamente, della riduzione delle attuali 40 forme contrattuali e dell’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il meccanismo di questo contratto, in sostanza, è questo. Si allunga il periodo di prova, in cui il datore di lavoro può licenziare il dipendente in qualsiasi momento, dagli attuali 2/6 mesi a 3 anni, trascorsi i quali si ristabiliscono tutte le tutele del contratto da dipendente attuale. Si pensa, così, di combattere la precarietà.
Se così fosse, l’abbaglio preso da Renzi e dalle sue “teste d’uovo” sarebbe grande. La ragione per la quale diverse aziende, soprattutto piccole, ricorrono all’utilizzo dei contratti a progetto e altre forme contrattuali del lavoro autonomo (in rapporti di lavoro di fatto da dipendente) è soprattutto per abbattere il costo del lavoro. Questi contratti costano di meno rispetto ai contratti tipici del lavoro dipendente. Non c’entra niente l’esigenza di una maggiore flessibilità, tant’è vero che coloro i quali lavorano con questi contratti autonomi, ma svolgono di fatto un lavoro da dipendente, eseguono le stesse mansioni e con le stesse regole organizzative di chi ha un contratto a tempo indeterminato. Se davvero si pensa di combattere la precarietà agendo sulla leva della flessibilità contrattuale e non sul costo del lavoro, si è completamente fuori strada. Anche perché le aziende sotto i 15 dipendenti la flessibilità già ce l’hanno.
Inoltre, non si è ben capito se questo nuovo contratto sia sostitutivo di quelli esistenti oppure si aggiunga agli altri. Voglio dare per scontato che sia vera la seconda ipotesi, a meno che Renzi non pensi di abolire i contratti a termine, quelli in somministrazione e i contratti a progetto. Mi pare improbabile. Rimane la questione, quindi, dell’inutilità del contratto proposto da Renzi nel quadro dei contratti di lavoro esistenti che già permettono meccanismi di flessibilità come quelli proposti nel Job Act, parlo dei contratti a termine e del lavoro in somministrazione per intenderci. La proposta del contratto unico a tutele crescenti somiglia molto a una bolla di sapone.
Infine, la riforma dei centri per l’Impiego e l’introduzione di un sistema di protezione sociale e di sostegno al reddito di tipo universale è assolutamente ingiudicabile dai titoli anticipati in questi giorni. E’ serio rinviare ogni giudizio, anche parziale, alla lettura del piano vero e proprio di cui, ad oggi, conosciamo solo l’indice.