In questi giorni la politica italiana si interroga sul salario minimo legale a seguito delle intese raggiunte a Bruxelles. Il tema non è nuovo, sono anni che il dibattito è aperto. Disegni di legge sono stati presentati negli anni scorsi da diverse forze politiche, il più noto quello del Movimento 5 stelle. Il dibattito però rischia di essere inconcludente se non si definiscono alcune importanti precisazioni. Innanzi tutto, parlare di salario minimo orario nei rapporti di lavoratori dipendenti che hanno tanti elementi retributivi solo indirettamente connessi all’ora effettivamente lavorata ha poco senso. Si pensi all’incidenza di tredicesima, quattordicesima, TFR, ferie, permessi, assenze retribuite varie. In molti paesi d’Europa la struttura della busta paga è molto più semplice che in Italia e la connessione tra salario e ora lavorata molto più diretta, quindi è anche più agevole inserire un valore minimo al compenso orario.
La vera questione poi è che la maggior parte dei rapporti di lavoro subordinati è regolamentata dalla contrattazione collettiva. Ad oggi però non sono definiti i parametri rispetto “a chi possa trattare e contrattare a nome di chi”: l’articolo 39 della Costituzione non è stato mai attuato e conseguentemente il tema della rappresentanza collettiva non ha trovato sinora alcuna soluzione. Dovremmo ripartire proprio da qui. Riconoscere organizzazioni sindacali democratiche e trasparenti che possano chiudere accordi validi per tutti. Questo darebbe immediata certezza dei diritti di chi lavora lasciando alle parti collettive il compito di individuare i punti di equilibrio. Il salario non sarebbe minimo ma “equo e sufficiente” come recita la nostra Costituzione. Senza gli elementi di chiarezza relativi ai criteri di rappresentanza, la contrattazione collettiva rischia di muoversi tra una posizione centralistica, burocratica e poco attenta alle realtà locali, che si autoalimenta di una rappresentatività presunta, e una contrattazione più dinamica tanto da scivolare in una contrattazione pirata.
Non dimentichiamo, infine, l’articolo 35 della Costituzione: la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Parlando pertanto di salario minimo non si può non ipotizzare una rete di garanzie universali, di caratura diversa, per ogni attività lavorativa anche se resa in modalità autonoma o parasubordinata. Più che una mera tenuta salariale, dunque, sarebbe opportuno un vero e proprio “statuto dei lavori” che offra quelle garanzie previste dalla Costituzione per tutti coloro che cooperano, con il loro lavoro, alla crescita del Paese.
– Nota stampa Stern (NexumStp) –