Il Vangelo è un libro di Fede, i cui contenuti sono sempre stati motivo di ispirazione nelle più diverse attività umane rinvenibili tradizionalmente nella poesia, nell’arte, nella letteratura. Don Giulio ci offre una originale rilettura di alcuni tra i più noti episodi delle Sacre Scritture inquadrandoli nell’ottica del management e spiegandoci così come la costruzione di un progetto, il valore dei rapporti interpersonali, la fiducia, l’umiltà, la buona gestione dei collaboratori siano principi irrinunciabili per chi vuole ottenere successo nella gestione di un gruppo.
Don Giulio lei pubblica periodicamente degli scritti che riportano i passi del Vangelo e aiutano il lettore, attraverso la riflessione successiva, a fare un parallelismo con la vita quotidiana, lavorativa. Qual è il messaggio che vuole dare?
Sono convinto che il Vangelo prima che essere un libro di Fede è un manuale per essere uomini. Di fatti è un manuale di umanità. E quando mi chiedono come mai questo applicare Gesù al Management, alla visione degli affari, alla gestione del personale provocatoriamente rispondo così: se leggete bene quel libro vi rendete conto che di fatto Gesù ha fatto per trenta anni l’uomo, per tre anni il coach e per tre giorni il prete: Giovedì Santo, l’Ultima cena la morte in croce e la Resurrezione. Poi ci ha raccontato come ha vissuto da uomo. E’questo l’intricante del Vangelo.
C’è da dire che questo uomo è straordinario, che gli si creda o no, nessuno in duemila anni di storia ha mai raggiunto lo stesso livello, a parte un po’ Maometto, con un calendario gestito sulla sua nascita, nessuno è citato in così tante canzoni come lui, nessuno ha tanti libri scritti su di lui, nessuno ha tante raffigurazioni fatte su di lui. E questa straordinarietà è data dal fatto che duemila anni fa diceva cose “divine” e, anche solo al livello di gestione del personale, ha aperto una start-up che ancora oggi è la holding più vecchia al mondo, la chiesa, nonostante i “quadri dirigenziali”.
Perché all’inizio non è che li abbia azzeccati tutti… nel primo CDA dei 12 qualcosa non è andata tanto bene nella scelta del personale…. Religiosamente o laicamente, ma prendiamola laicamente, se l’esito è questo forse il fondatore aveva avuto delle intuizioni geniali.
Il problema è che spesso il vangelo noi lo leggiamo in modo “pretoso” privilegiando l’aspetto morale, invece se si leggono quelle pagine in modo manageriale se ne trovano molte interessanti.
Faccio due esempi uno evangelico e uno più ampio.
Un esempio evangelico è la Parabola dei talenti che è una delle pagine più violentate del vangelo riducendola a “usa le tue qualità. Un talento al tempo di Gesù corrispondeva a 25 kg d’oro che sono l’equivalente di circa 20 mila giorni di lavoro di un operaio. 70 anni di lavoro. Al tempo di Gesù sono due vite perché si viveva al massimo 30/35 anni. Quindi un talento sono due vite di stipendi a livello alto e capisci che quando uno ti dice ti do un talento e lo ragioni come lo stipendio di due vite intere, c’è qualcosa che non quadra. Se poi diventano dieci, ti devi fare delle domande sulla distinzione tra imprenditore e imprenditivo, ma anche sulla finanza paurosa…potevi darlo ai banchieri almeno avrei ritirato con l’interesse condannando la paura di investire, quindi di giocarsi fino in fondo e lasciarsi coinvolgere: ti ridò il tuo, esattamente quello che mi hai dato.
E’ la stessa dinamica, e qui passiamo all’altro esempio, la stessa sproporzione che c’è nella prima pagina della creazione. Quando Dio il settimo giorno riposa. A parte che c’è il verbo riposare che non è il verbo stare tranquillo ma ha l’accezione che noi in italiano troviamo sfumata dentro il ri-posare nel senso di posare in modo diverso. Rimettere a posto le cose. Per cui Dio crea il mondo ed al settimo giorno cosa fa? Io mi ritiro e rifaccio il planning della società. Per cui caro Adamo tu, in questo momento diventi l’amministratore delegato della società. Il socio di capitale della Creazione. Adamo non diventa il giardiniere: Dio prende quello che era pensato come l’uomo del giardino e lo fa diventare socio di capitale e va via.
Dice all’uomo tu sei socio di capitale del mondo per cui o lo fai diventare meglio di come te l’ho dato o tutto crolla. E nel momento in cui la visione dell’uomo è il passare dall’essere dipendente ogiardiniere al trovarsi amministratore delegato è un salto enorme. Ma è questo l’investimento di Dio, tanto che nella misura in cui l’uomo non capisce questa cosa tutto va a rotoli a cerchi concentrici.
Comincia ad avere sospetti con l’altro, Eva, con chi gli è pari. Se il rapporto non è di fiducia ma è di sospetto si interrompe il dialogo e il disordine si allarga ai figli, Caino e Abele, il pastore e il nomade, lo stanziale e quello che si muove, l’artigiano di bottega e il commerciale che cominciano a litigare e si uccidono. Si estende allora sulla società dove non ci si capisce più quando si parla e si hanno idee diverse ma non si vuole mettersi in discussione: è Babele. Si allarga infine a tal punto che tutto va in crisi e anche la natura si ribella nel diluvio. E allora Dio interviene e dice ad Abramo: ricominciamo da capo. Abramo conta le stelle, questo è vision e mission, che lo porta su strade nuove col coraggio di affrontare e attraversare anche il deserto.
Se la Sacra Scrittura nei secoli è stata tradotta dall’ebraico e dal greco, poi in latino, poi in italiano e in tutte le lingue moderne, allora è possibile una ripresentazione anche in altri linguaggi quali quello del business, del management, del giovanile slang young, perché il concetto è una verità che ti viene data sull’uomo e l’uomo è lo stesso, cambia solo il vestito, cambia la moda, ma non cambia il contenuto ed il senso.
Nel suo libro Se ne ride chi abita i cieli in una parte del racconto che l’abate ha con Giorgio, il manager “accolto” in abbazia, dice a proposito della vita di comunità che “il problema è l’incoerenza come causa di sfiducia e di scoraggiamento, soprattutto quando l’autorità è generica e non generativa”. Cosa intende?
Il libro che ha citato, e la ringrazio, ha come logica che il manager e l’abate sembrano appartenere a due mondi diversi, ma in realtà dicono la stessa cosa semplicemente in due lingue diverse. Partendo da qui l’uno mette in discussione l’altro. Sono anche i due poli della mia vita: ho studiato teologia e diritto specializzandomi in management, poi faccio il prete e faccio l’organizzatore di persone, uffici, eventi. Se il concetto è lo stesso bisogna dirlo nella lingua dell’uno e dell’altro.
La differenza tra generico e generativo la paragono a quello che i testi di management e di gestione del personale chiamano Call to actionche è il punto di differenza in cui una persona sceglie se rimbalzarti o se seguirti. Quando tu proponi, dai un incarico o ancor più coinvolgi qualcuno in un progetto arriva un certo punto in cui c’è il discriminante, quel punto di differenza in cui uno dice “non me ne frega niente” o “che bello ti seguo”. Che è esattamente concepito come chiamata ad agire! Voce e azione, vocazione appunto.
E’ esattamente il punto per cui uno si mette a seguire qualcun altro. Detta “vocazione” sa molto da prete, detta “call to action” fa molto più figo ma è la stessa parola.
L’interessante è che ambedue – Vocazione e Call to action – nel momento in cui esprimono una conseguenza, la scelta o il rimbalzo, la descrivono definendo uno stile personale, perché lo stile è quello di una sincronizzazione tra audio e video (call e action). Nel momento in cui la nostra vita è disincronizzata tra audio e video c’è qualcosa che non va.
Lo diciamo di un cellulare o su una video chiamata perché non riusciamo a dirlo sulla nostra vita o su un’azienda?
Allora, nel momento in cui un datore di lavoro, una persona con responsabilità non ha sintonia tra audio e video, tra quello che dice e quello che fa, tra i corsi di formazione al personale e poi le scelte aziendali, non è sintonizzato video-audio. L’incoerenza noi la interpretiamo sempre a livello morale, in realtà ci sono tantissime sfumature dell’incoerenza: c’è quella aziendale (formazione e scelte), c’è quella del linguaggio non verbale, c’è l’incoerenza relazionale.
Il contrario dell’incoerenza è la generatività perché se io non ho audio e video mi generalizzo, perdo qualsiasi legame.
Faccio l’esempio dello smart-working. Qual è l’effetto più grande dello smart-working? Quello di accorgersi quante persone erano inutili e quello che io definisco il personale LOST. Sparito. Nel senso che non ti ricordi di avere le persone. Delle persone sono sparite e dei ruoli sono spariti. Non c’è più una realtà.
Lo smart-working è stato visto solo dal punto di vista dei dipendenti. E lo smart-capo? Come sono stati gestiti i collaboratori? Aziende che si sono trovate a scegliere lo smart-working con tanti dipendenti hanno capito che possono risparmiare anche sull’uso degli ambienti, etc quanti hanno pensato alle ditte che portavano il caffè? A quelle che vendevano la carta, a quelle che facevano altre iniziative? Che non hanno non solo non avuto lo smart-working ma neanche il lavoro in alcuni casi?
Dietro lo smart-working di tante persone c’è stato il non working di altri invisibili
Questa nuova impostazione dovrà considerare, dal mio punto di vista, che nelle organizzazioni convivano situazioni talvolta confliggenti tra persone e sistemi. Dunque delle criticità. A volte si è demotivati perché ci sono delle aspettative non soddisfatte, delle richieste non fatte e c’è anche il tema dell’incoerenza. Cosa suggerisce alle aziende ed alle persone?
E’ un tema molto difficile perché si entra nella soggettività di ciascuno. Il 70% di questo problema penso sia legato alla percezione del problema. Perché la stessa situazione è vissuta differentemente da una persona o da un’altra. Non si può trovare una soluzione generica su un manuale, ma la risposta si scopre passo per passo in un dialogo schietto dentro la storia di ciascuno. È il principio rivelativo della realtà, come mistero che chiede una profezia e non solo un algoritmo.
Qualche settimana fa ero ad un convegno sulla sicurezza sul lavoro ed è emersa una riflessione interessante fatta da un dipendente che ha avuto un’incidente e che ha raccontato: “Ero totalmente a norma con gli abiti, ciò che non era protetta era la mia serenità perché avevo appena discusso con gli altri colleghi, per cui non ero attento!”. Per cui nella sicurezza sul lavoro c’è anche la tutela dell’ambiente di lavoro e questo si fa solo all’interno di un dialogo di conoscenza. Perché conoscere la persona, la situazione di una persona (es. un bimbo appena nato, una difficoltà nella relazione etc.;) sono variabili che determinano la capacità di reazione sul lavoro.
E aggiungo un’altra cosa, se il dipendente ha ragione nel dire e nel dare importanza alla sua situazione umana, affettiva e psicologica anche a lui deve essere ben chiaro che di persone indispensabili ci sono pieni i cimiteri!!! Papa Francesco lo ha detto anche ad un gruppo di una curia romana… Nessuno è insostituibile!
Secondo me noi siamo ancora molto vincolati ad un impianto feudale di impostazione del planning del lavoro e di un organigramma lavorativo. E questo ci fossilizza molto nella crescita.
Siamo arrivati ad una situazione dove, se fino a 20/30 anni fa in modo etico dicevamo che il lavoro nobilita l’uomo, oggi dobbiamo dire che il lavoro mobilita l’uomo. Perché la mobilità anche all’interno di un’azienda è fondamentale! Trovo questa cosa geniale e l’ho vista applicata in una grossa azienda che ha assunto diversi giovani secondo la specializzazione di laurea, ha fatto fare poi un corso motivazionale di squadra e per un anno li ha fatti ruotare nelle varie aree dell’azienda senza dire loro in quale ambito sarebbero andati a lavorare. Io ho un bisogno, tu colmi quel bisogno, ma tu conoscendo l’azienda in base all’esperienza che fai puoi, secondo i tuoi tratti e le tue caratteristiche preferire un ambito invece di un altro.
È la mobilità sia dell’assunto che del gestore. Quindi, se uno è stagnante in un posto e lo sposto da un’altra parte non deve essere vista come una punizione ma come un investimento sul suo brand e se la persona diventa brand io lo sposto dove la persona mi serve e quindi secondo me il turnover diventa salutare per l’azienda.
L’applicazione di questo metodo richiede visione d’insieme, proiezione in avanti anche per prevenire situazioni stagnanti, cosa ne pensa?
Certamente si!
Come sono organizzate le Risorse Umane da lei? C’è anche un aspetto spirituale che incide sull’organizzazione.
La diocesi di Bergamo è l’unica Diocesi gestita ad holding nel senso che è una diocesi che si è trovata tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 una ricchezza strabiliante e l‘ha investita, grazie ad alcuni vescovi illuminati, ad holding creando una trentina di società che coinvolgono centinaia di persone dipendenti. C’è l’editoria con 5 giornali e 2 televisioni, ci sono 4000 posti di sanità in RSA, ci sono 265 asili, scuole superiori, c’è stato, ora non più, l’aspetto finanziario dove la diocesi è stata tra i soci fondatori (fine 800) di due banche. Questo perché la Diocesi aveva fondato la Banca popolare di Bergamo ed il Credito Bergamasco distinguendo già allora il private e il business: nella prima era maggiore l’attenzione per i singoli e la 2 per le aziende.
Ogni società ha un suo CDA formato da laici, con l’autonomia propria, pur facendo che però fanno capo al vicariato per gli affari economici, che si affianca in sintonia al vicariato per i laici e la pastorale, da cui sgorga un importante impegno caritativo, tanto che la Caritas diocesana ha un budget di circa 20 milioni, con una struttura di 365 servizi con centinaia di volontari, oltre alla galassia delle 400 parrocchie.
Abbiamo aperto quattro Fondi in questi anni: famiglia-casa; famiglia-lavoro; un fondo per la gestione del covid e all’interno di questo, il Fondo Ricominciamo insieme che è dedicato alle piccole aziende che per via del Covid non riuscivano a ripartire e sono fondi di micro- prestito). Fondi in cui la Diocesi ha investito diversi milioni, poi c’è la partecipazione esterna delle banche e c’è una implicazione diretta come per es. nel periodo COVID il Fondo Ricominciamo insieme, è partito con l’impegno, in modo simbolico, dei 750 preti della diocesi che hanno messo nel fondo 3 stipendi ciascuno di quell’anno.
Ci sono poi altre iniziative, per es. nella sanità noi abbiamo il primo hospis pediatrico di appoggio alle famiglie per i bambini piccoli che non hanno più speranze di vita, È stato questo il monumento che si è voluto costruire per ricordare l’evento storico del ritorno a Bergamo dell’urna con le reliquie del Santo Giovanni XXIII, il papa della carezza ai bambini.
A conclusione dell’intervista si sente più manager o più “abate”?
Le due cose non si dividono perché uno è manager fuori nella misura in cui sa essere monaco dentro. Diversamente le due cose non funzionano.
Grazie