Un’idea innovativa, quattro co-fondatori (Mirko Trasciatti, Giuseppe De Giorgi, Stefano Rodriguez e Simone Gallace, nella foto) e un team di nove persone, con un’età media di 30 anni: sono questi alcuni degli ingredienti di Fubles, il social network che connette gli appassionati di calcetto, dando la possibilità agli utenti di prenotare il campo più vicino e creare la propria squadra.
“Oggi abbiamo oltre 300mila iscritti e sono state registrate 77mila partite – sottolinea Mirko Trasciatti (34 anni), co-fondatore – Da poco abbiamo raccolto un secondo round di finanziamento, con un business angel, Stefano Rosso e la società della sua famiglia, la Red Circle Investments. Questo ci permette di migliorare sempre di più il prodotto e di orientarci molto sull’espansione all’estero: vogliamo dimostrare che la ricetta di Fubles funziona anche fuori dall’Italia.”
La nascita dell’idea – “La scintilla di Fubles nasce nel 2007 – spiega Mirko – Vito Zongoli, ingegnere del Politecnico di Milano, aveva riscontrato dei problemi nelle convocazioni dei giocatori per partite di calcetto, faticando a far coincidere le disponibilità dei campi e degli atleti a disposizione. Da ingegnere, quindi, aveva sviluppato nel 2007 un’applicazione web capace di risolvere questa problematica e aveva reso questo strumento aperto anche ad altri utilizzatori: questo ha generato da subito un passaparola che ha visto l’utilizzo dell’app anche da parte di altri organizzatori di partite e giocatori. Tra i primi utenti eravamo presenti anche io e altri ragazzi e inizialmente avevamo preso la decisione di collaborare informalmente con Vito, aiutandolo nei diversi campi, dallo sviluppo del codice alla promozione. Nel 2009, però, è arrivata la scelta di fondare una S.r.l. e di formalizzare quella che era stata una collaborazione informale. Personalmente ho lasciato la mia occupazione per dedicarmi full time al progetto e abbiamo raccolto un primo round di finanziamento che ci ha permesso di rafforzare il team e continuare a sviluppare Fubles, anche in vista dell’espansione all’estero.”
Cosa significa dare vita a una startup? – “Abbandonare un posto di lavoro sicuro per lanciarsi in un progetto in fase di startup è un vero e proprio salto nel buio e per me ha rappresentato un giro di boa – continua Mirko – Dedicarsi a un progetto soltanto per alcune ore durante la settimana, infatti, è molto diverso rispetto alla decisione di giocarsi tutto, in termini di motivazione, stress e risultati.
Progetti come Fubles, se vengono portati avanti con un impegno part-time sono destinati a rimanere sulla carta oppure vengono superati da progetti che hanno dietro le quinte un team disposto a lavorare a tempo pieno allo sviluppo dell’impresa. Ci vuole una buona dose di incoscienza, ma non così tanta se pensiamo alla situazione lavorativa in cui ci troviamo oggi: le prospettive di un giovane di far carriera o di avere percorsi ascendenti rapidi in una realtà aziendale, infatti, hanno percentuali piuttosto basse, rispetto al passato. Inoltre, la laurea non è più una garanzia e non è garantita la crescita professionale: anche all’interno delle grandi aziende la mobilità verticale, oggi, è congelata e il rischio è trovarsi in una “gabbia”, con una visuale limitata. Immergersi in una realtà piccola, ma ad alto potenziale, invece è una scommessa che può essere vinta e può portare dei grandi vantaggi.
La crescita personale, quando si affronta un progetto di questo genere, è intensa e ha un valore enorme sul mercato: provarci e, nel caso, fallire, non rappresentano una perdita di tempo, ma sono esperienze che danno un valore aggiunto importante.”
Le difficoltà personali e aziendali – “Inizialmente, dal punto di vista personale, le maggiori complessità hanno riguardato il lato economico e l’incertezza di riuscire a mantenersi – conclude Mirko – Dal punto di vista del progetto, invece, dobbiamo considerare che la startup è una realtà che si affaccia sul mondo del capitale di rischio: ha un prodotto che potenzialmente è scalabile e che potrebbe aver bisogno di risorse economiche per crescere anche violentemente, se necessario. Qui entra in gioco il fundraising, che per una startup, in Italia, rappresenta un percorso particolarmente difficile, per una serie di motivi, tra cui la presenza di un ecosistema poco maturo, con una massa critica scarsa. Avere un buon team, un buon prodotto e delle buone prospettive in Italia, infatti, potrebbero non essere sufficienti a raccogliere le risorse economiche necessarie per la crescita e lo sviluppo. All’estero, invece, con questa condizione, probabilmente il fundraising incontrerebbe meno ostacoli e meno attriti.
Infine, è importante sottolineare una nota positiva, che oggi rappresenta una voce fuori da coro: attualmente stiamo assumendo e stiamo cercando figure professionali diverse, in particolare sviluppatori mobile e community manager.”
Per saperne di più: www.fubles.com; Per candidarsi: www.fubles.com/jobs