Nonostante il graduale ritorno alla libertà, con la fine della pandemia, “non dobbiamo pensare che le cose torneranno come prima”. In questi lunghi mesi di restrizioni, “c’è stata una selezione naturale in favore di quelle più profonde, autentiche e sincere. Sicuramente il desiderio è di riconquistare gli spazi delle persone a noi più vicine. Ma sia nelle amicizie che nei rapporti sentimentali sono cresciute le relazioni a distanza che – almeno in pandemia – sono meno limitate di quelle in presenza. Non sappiamo come questo impatterà sulle relazioni affettive”. Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf), non ha dubbi riguardo al cambiamento che le relazioni sociali hanno subito in seguito alle restrizioni imposte dalla pandemia.
“Il ritorno a quella socialità – ribadisce all’agenzia Dire- avrà un impatto molto forte sul mondo del lavoro. Secondo me- spiega l’esperto – non si tornerà più a quella inflazione di meeting, incontri e contatti, anche perché la tecnologia ha dimostrato come qualunque riunione, qualunque incontro di lavoro possa svolgersi da remoto con un importante risparmio in termini di tempo, di consumo di energie e di risorse. Abbiamo poi tutta l’area di sapere che può essere anch’esso condiviso attraverso la tecnologia. Avremo la telemedicina. Lo smartworking resterà una modalità a cui magari si ricorrerà solo qualche giorno a settimana“.
Anche riguardo alla socialità di gruppo, lo psichiatra nutre dubbi che si possa tornare alla ‘disinvoltura‘ pre-pandemia. “Oggi quando si parla ad esempio di un matrimonio la domanda, con una nota di inquietudine, è ‘Quanta gente ci sarà?’ e questo ci dice che qualcosa è cambiato rispetto al passato, quando quanto più elevato era il numero degli invitati tanto più grande era la festa”.
Perché, dopo averlo tanto desiderato, il ritorno alla normalità ci provoca tanto disagio e stress? “Al nostro cervello – chiarisce l’esperto – non piacciono i grandi cambiamenti e le grandi sorprese. Noi abbiamo attraversato un periodo in cui l’incertezza era all’ordine del giorno e in quelle condizioni, durante il primo lockdown e le restrizioni dello scorso autunno, il nostro cervello ha cercato di controllare l’incertezza e ha attivato i suoi meccanismi di apprendimento per contenere l’ansietà che tutto questo gli provocava. Abbiamo così costruito l’ambiente più protettivo possibile e ora facciamo grande fatica a uscirne. Per mesi- ricorda Mencacci- abbiamo evitato gli altri, anche durante una passeggiata, siamo stati attenti a qualunque forma di assembramento. Adesso ci viene detto che possiamo tornare al ristorante, anche al chiuso, anche in più di 4 persone. Forse qualcuno farà anche delle feste. In tutto questo-sottolinea- credo sia assolutamente necessario essere graduali e prudenti”, sia per gli aspetti strettamente sanitari, dato che la pandemia non è ancora finita, sia per quelli psicologici”.
Dopo 15 mesi di “paura estrema del contatto, dovremo darci del tempo– ribadisce lo psichiatra- e soprattutto non è consigliabile la disinvoltura di prima. Il tempo dei bacioni anche a chi si conosce poco resterà ancora sospeso per un po’. Gli abbracci si daranno solo dopo essersi assicurati di essere entrambi vaccinati e comunque con la mascherina. Prima c’erano degli atteggiamenti sociali sicuramente molto più iperconnessi e iperstimolati. Il consiglio è di continuare a evitare gli assembramenti, che non sono stati autorizzati e rimangono un oggetto di attenzione. E poi no immersioni di socialità, da cui può derivare un eccesso, un’ubriacatura, perché di tutto abbiamo bisogno tranne che di un’ubriacatura di illusioni“, conclude.