La parola benessere viene spesso fraintesa, abusata nel linguaggio comune o, al contrario, minimizzata. Non è infatti semplice definire univocamente questo termine in quanto si presta facilmente a più accezioni e sfumature. Parlando, per esempio, di benessere aziendale e di misure a tutela dei lavoratori, il legislatore – nel Decreto Legislativo n. 81/2008, Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro – aveva già correttamente inquadrato il benessere, inteso non solo come la previsione di adeguate misure per contrastare i rischi legati alla sicurezza e salute sul posto di lavoro, ma altresì quei rischi collegati allo stress lavoro-correlato (articolo 28).
Il lavoratore di oggi è un lavoratore profondamente diverso da quello di 30-40 anni fa: quello odierno deve fare i conti con uno stress da lavoro non indifferente, circostanze e situazioni (anche familiari) sempre più complesse, una società frenetica, esigente e altamente competitiva che, difficilmente, grazia il lavoratore da errori o imprudenze. Soprattutto all’interno di grandi realtà aziendali, il lavoratore finisce con l’essere considerato un numero, una matricola, una delle tante e, nella peggiore delle ipotesi, si assiste alla spersonalizzazione dell’attività lavorativa e della persona stessa (si pensi per esempio ai numerosi robot e macchinari digitalizzati che stanno progressivamente sostituendo l’uomo e le sue mansioni). Di fronte al progresso, l’alternativa che si ha di fronte è categorica: restare spettatori passivi o parteciparvi da attori (la risposta dinanzi a questa scelta pare dunque intrinseca). Ciò che invece può essere ridimensionato, grazie al contributo attivo della società e delle Istituzioni, è (ri)porre al centro il lavoratore come persona, nonostante la digitalizzazione e nonostante il progresso. Come? Puntando sul welfare aziendale. Il lavoratore deve riacquisire centralità, in primis come persona e successivamente come lavoratore, per sentirsi pienamente realizzato e valorizzato. Misure di welfare personalizzate porterebbero l’azienda ad aumentare la sua reputazione e visibilità, diminuirebbe l’assenteismo tra i dipendenti e, parallelamente, ne aumenterebbe la produttività, aumenterebbe la fiducia e la fidelizzazione tra datore e lavoratore.
Gli strumenti di welfare sono molteplici e possono essere studiati su misura, sulle singole esigenze delle aziende e dei suoi dipendenti, a titolo esemplificativo possiamo citarne alcuni: strumenti di compensazione e gratificazione (bonus, voucher di varia natura, corsi di formazione ecc…); assicurazioni sanitarie complementari per dipendenti e familiari, orari di lavoro flessibili per un migliore equilibrio tra vita privata e lavorativa – il c.d. work-life balance – (lo smart working ne è un esempio); asili nido aziendali per famiglie con figli a carico e così via.
Il benessere aziendale ristretto al solo posto di lavoro è un concetto oggi superato che va ben oltre. È un benessere sì fisico e mentale, ma altresì relazionale: per essere competitivi sul mercato e dunque nei prossimi anni, le aziende, anche le piccole e medie, saranno chiamate ad innovarsi; sono aspetti questi non più rinviabili né trascurabili che richiedono uno sforzo congiunto da ambedue le parti, quella datoriale e quella del lavoratore.