La discussione sulla legge di stabilità è entrata nella fase decisiva. E’ stata approvata in Senato da pochi giorni ed è in discussione alla Camera. Molti sono i provvedimenti che riguardano il lavoro, le pensioni, la casa e le politiche sociali. Facciamo il punto con il leader dell’UGL, Giovanni Centrella. Nato in provincia di Avellino 48 anni fa, è segretario generale del quarto sindacato italiano dal 2010. Operaio metalmeccanico, inizia la carriera sindacale presso la categoria dei metalmeccanici dell’UGL nel 1997 fino a diventarne segretario generale nel 2006. Oggi, è alla guida dell’intera confederazione e ha firmato insieme a Cgil, Cisl e Uil importanti accordi interconfederali sulla rappresentanza sindacale e la produttività.
La legge di stabilità è in dirittura d’arrivo. Qual è la valutazione generale dell’UGL allo stato? E’ una manovra che favorisce il lavoro e lo sviluppo?
Il nostro giudizio è molto negativo perché così com’è la manovra economica creerà maggiore disoccupazione nel 2014. E’ una manovra contro il lavoro. Abbiamo cercato di far cambiare idea al Governo facendo capire che il rilancio del lavoro è la priorità, ma il messaggio, con nostro rammarico, non è stato recepito. Questa legge avrà un impatto molto forte e deleterio sulle tasche dei cittadini. Sulla casa, la nuova tassa denominata IUC, e speriamo che il balletto delle nuove sigle sia finito, comporterà un aumento della tassazione rispetto all’Imu e alle precedenti imposte comunali del 20 per cento, con l’aggravante che questa volta pagheranno anche gli affittuari. Colpendo ancora le tasche dei cittadini la reazione a catena negativa che comporterà meno spese, meno sviluppo e quindi meno lavoro, è assicurata. Per questa ragione il nostro giudizio è molto negativo e valutiamo questa Legge di Stabilità come recessiva.
Diversi i capitoli su lavoro e pensioni in discussione. Partiamo dal capitolo pensioni: la questione della rivalutazione del potere d’acquisto delle pensioni medio basse, ferme da anni, e la possibilità di un contributo di solidarietà (dal 6 al 18%) da introdurre sulle pensioni d’oro e da redistribuire verso le pensioni più basse. Su entrambe queste possibilità sembra che gli spazi di manovra siano molto stretti o nulli. Inoltre, è ancora sospesa la questione degli esodati. Qual è la tua valutazione?
Il blocco delle rivalutazioni delle pensioni, soprattutto quelle medie e basse, sono un grave errore. Sono ferme da 5 anni! Come detto, la conseguenze di questo tipo di provvedimenti, non sono solo un danno sociale, ma anche un danno per l’economia e per la ripresa. Come pensiamo di far riprendere lo sviluppo della nostra economia e del lavoro se continuiamo ad impoverire le tasche degli italiani?
Sulla questione delle pensioni d’oro, invece, è necessario un distinguo. Ci sono pensionati che percepiscono pensioni elevate perché nel loro percorso di lavoro hanno avuto una contribuzione elevata. In questo caso, si può anche pensare di chiedere un contributo di solidarietà, ma legato strettamente a questo periodo di crisi e quindi non definitivo. Altra cosa, invece, per coloro che percepisco pensioni d’oro a seguito di un ingiustificato privilegio. In questo caso è giusto intervenire e in modo permanente.
La questione esodati, infine, è un problema enorme. E’ difficile capire a che punto siamo soprattutto perché non c’è ancora chiarezza sui numeri: non sappiamo ancora quanti sono effettivamente anche per difficoltà oggettive di rilevazione. La mancata conoscenza numerica del fenomeno ci allarma molto anche perché gli stanziamenti sono sempre sottostimanti rispetto a quelli che servirebbero. Questa è una grave responsabilità del Governo Monti e dell’ex Ministro del lavoro, Elsa Fornero.
Uno dei temi centrali in discussione e su cui è concentrata l’attenzione delle parti sociali e dell’opinione pubblica è il cuneo fiscale. Ossia la riduzione della contribuzione e delle tasse sul lavoro. Sono circolati numeri in questi giorni che fanno pensare a provvedimenti inconsistenti (225mila euro l’anno per i redditi fino a 32mila euro). La strada è giusta, ma la questione della scarsita delle risorse sembra vanificare tutto. Come intervenire?
Nel merito della proposta del cuneo fiscale in discussione sono ovviamente d’accordo. E’ assolutamente questa la strada da percorrere per ridare respiro ai salari dei dipendenti e per il rilancio della competitività delle imprese. Tuttavia, chiedo che le risorse, questa volta, vadano soprattutto a vantaggio dei lavoratori e meno alle imprese. Altrimenti si rischia di rendere ancor più debole e dagli effetti quasi nulli, un provvedimento corretto ed efficace se sostenuto da ingenti risorse, ma anche se correttamente calibrato. In sostanza la questione è tutta qui: più soldi e soprattutto a favore dei lavoratori.
Sembra che ogni intervento serio sul lavoro sia rimandato agli effetti concreti che deriveranno dalla spending review e dalla lotta all’evasione fiscale. Si pensa all’introduzione di una sorta di automatismo in questo senso. E’ un modo per prendere tempo e rinviare la questione oppure è un’ipotesi concreta per recuperare maggiori risorse per il lavoro?
E’ chiaro che i provvedimenti sul lavoro necessitano di molte risorse e condivido il principio di individuare un automatismo tra soldi pubblici risparmiati e loro conseguente investimento sulle politiche per il lavoro. Mi permetto, tuttavia, di sollevare qualche dubbio sulle modalità in cui si pensa di recuperare queste risorse. La spending review può essere un’arma a doppio taglio se mal concepita. In altre parole, se i tagli riguarderanno i servizi fondamentali per i cittadini, come la sanità, le forze dell’ordine che garantiscono la sicurezza delle nostre città, o ad altri servizi indispensabili, allora questa ipotesi non ci piace e la contrastiamo. Si tratterebbe di realizzare non un recupero di efficienza nella spesa pubblica, ma un grave danno ai cittadini assolutamente insostenibile.
I tagli, se devono esserci, devono concentrarsi soprattutto nelle gradi centrali di spreco e d’inefficienza della spesa, come per esempio nelle tante società pubbliche a livello locale e soprattutto regionale, spesso di nessuna utilità e con bilanci e prebende esorbitanti. Dobbiamo andare molto più a fondo sui costi dello Stato per individuare i veri capitoli di spreco.
Per ciò che riguarda la questione fiscale, oltre alla giusta lotta all’evasione fiscale bisognerebbe seguire una semplice verità: far pagare soprattutto a chi ha e meno a chi non ha.
La proposta del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza da inserire nella Legge di stabilità (in realtà si tratta di un reddito minimo garantito) ha posto la questione al centro del dibattito politico sulla riforma del welfare. Ricordiamo che siamo l’unico paese in Europa, insieme alla Grecia, a non avere un reddito sociale. E’ arrivato il momento di introdurlo anche da noi?
Noi siamo contrari all’introduzione del reddito minimo garantito. Quello che vogliamo garantire è il lavoro. Questo tipo di provvedimento aumenterebbe la disoccupazione, perché, in qualche modo, si prefigura come una sorta d’incentivo all’immobilismo e non alla ricerca attiva di un lavoro. Per non parlare, poi, dell’enorme difficoltà nel reperire le risorse necessarie per introdurre un simile strumento.
Le risorse pubbliche andrebbero investite soprattutto in strumenti e iniziative in grado di creare lavoro e occupazione, soprattutto per i più giovani. In uno slogan si potrebbe sintetizzare così la nostra posizione: si la lavoro per tutti e no all’assistenzialismo. E lo dico da meridionale.
Sulla legge di stabilità c’è stata anche una lotta, a quanto pare vinta, per il blocco dell’aumento dell’aliquota Inps per i lavoratori autonomi con partita Iva, prevista dalla legge Fornero. Il popolo della Partite Iva è fatto di milioni di professionisti senza nessuna tutela. Esiste una questione di estensione dei benefici del welfare anche per il lavoro autonomo. Qual è la posizione dell’Ugl sulle tutele e la rappresentanza di quest’altra parte del mondo del lavoro?
Quando si parla di lavoro autonomo dobbiamo, prima di tutto, fare una distinzione tra vero e falso lavoro autonomo. Da questo punto di vista sappiamo che esistono molte false partite Iva o falsi contratti a progetto che mascherano, di fatto, un rapporto di lavoro da dipendente. La prima cosa da fare è sanare una situazione illegale molto diffusa e riportare nella legalità questa anomalia.
Dal punto di vista generale, affrontata la questione del ripristino delle regole e della normalità contrattuale, è necessario affrontare anche la questione di un sistema di welfare in grado di garantire tutti, e quindi anche i lavoratori autonomi con contratti a progetto o con partite Iva e che oggi sono completamente esclusi da qualsiasi forma di tutela.
Le norme introdotte dalla legge Fornero, che dovevano nelle intenzioni contrastare le false partite Iva e i falsi contratti a progetto, in realtà, hanno ottenuto un solo risultato: hanno reso più facile licenziare e più difficile assumere, con l’aggravante di non aver intaccato minimante il fenomeno. La conseguenza della legge Fornero è un mondo del lavoro autonomo e atipico ancora più nebuloso.
C’è una questione, infine, non direttamente riconducibile alla legge di stabilità in discussione, ma di strettissima attualità. I cosiddetti fondi di solidarietà previsti dalla Legge Fornero, di natura bilaterale, e che dovrebbero prendere il posto degli ammortizzatori sociali in deroga, che sono una misura straordinaria e pagata con i soldi della fiscalità generale, e rendere universale il sistema di tutele. In gioco c’è il futuro delle tutele per chi perderà il lavoro nei prossimi anni. Perché c’è un forte ritardo nell’avvio dei fondi di solidarietà?
C’è un problema a monte quanto si parla di Riforma Fornero, una specie di “peccato originale”. Questa legge non è stata condivisa realmente con le parti sociali, sia datoriali che sindacali. Sotto la spada di Damocle europea, la bussola del provvedimento è stata l’urgenza, il dover fare presto una legge per esigenze di altra natura, a scapito del merito dei provvedimenti presi. Non avendo condiviso con i sindacati e le parti sociali in generale il percorso, compreso quello relativo all’introduzione dei fondi di solidarietà, la questione è rimasta sulla carta, tranne che in sporadici casi in cui sono stati già costituiti.
Per di più, questi fondi prevedono un’ulteriore contribuzione da parte delle aziende e dei lavoratori per poter funzionare. Sono fondi in cui i soldi ce li mettono le aziende e i lavoratori. In questo momento di crisi un’ulteriore inasprimento dei costi è chiaramente difficile da sostenere. Tutto questo crea un blocco “naturale” all’avvio dei fondi di solidarietà.
Noi chiediamo l’abolizione della legge Fornero, in tutti i suoi punti, e auspichiamo che si riapra un tavolo con il Governo e tutte le parti sociali, in cui si ridefinisca una nuova legge sul lavoro ma con una discriminante: che sia il risultato di un percorso condiviso. E soprattutto che, in questo momento, non si chiedano soldi a imprese e lavoratori.