La vicenda dei rider continua a tenere alta l’attenzione. Dopo il No Delivery Day del 26 marzo, il contratto di Just Eat che regolamenta il lavoro dei suoi rider, martedì scorso diversi ciclofattorini si sono ritrovati in piazza Monte Citorio a Roma per esprimere il loro dissenso proprio nei confronti del lavoro subordinato al grido di #iorestoautonomo.
Un hashtag che ha il sapore di uno slogan e per rivendicare come, accanto a chi anela il lavoro da dipendente, c’è chi vuole restare indipendente e lavorare con più piattaforme e senza vincoli.
Ne abbiamo parlato con Vincenzo Abbrescia, segretario nazionale UGL rider – sigla che ha organizzato la manifestazione – per capirne di più.
UGL è, per chi non lo ricordasse, il sindacato che ha firmato, nello scorso novembre, l’accordo con Assodelivery, associazione che mette insieme diverse aziende del food delivery come Deliveroo, Glovo, SocialFood e Uber Eats per un nuovo tipo di contratto.
Siamo stati al No Delivery Day e abbiamo parlato con diversi rider cui non piace molto il contratto di AssoDelivery e UGL che definiscono “capestro” perché non rispetterebbe alcuni dei parametri importanti. Perché invece secondo voi non lo è? “Al di là delle polemiche strumentali e ideologiche l’accordo firmato da AssoDelivery e UGL entrato in vigore lo scorso 3 novembre, rappresenta un passo avanti significativo e un punto di partenza fondamentale a beneficio di tutti i lavoratori del settore. Si tratta, infatti, del primo CCNL del lavoro autonomo tramite piattaforma in Italia e in Europa che riconosce diritti esigibili e ai lavoratori del food delivery. Siamo orgogliosi di aver contribuito al riconoscimento di tutele minime obbligatorie ad una categoria fino ad ora dimenticata. Con il CCNL AssoDelivery UGL viene garantito un corrispettivo minimo per ogni ora lavorata, indennità per lavoro in orario notturno, un incentivo minimo orario garantito per un periodo di quattro mesi in caso di apertura del servizio in una nuova zona, a cui si aggiungono i protocolli sottoscritti con le parti datoriali volti a contrastare il fenomeno del caporalato”.
Diversi rider ci hanno detto di aspirare a un contratto da dipendente, ma i rider visti a Roma puntano sull’autonomia del loro lavoro. Chi ha ragione? E perché secondo voi? “Quello dei rider e del food delivery è un settore merceologico che si distingue da altre categorie produttive consolidate. Ogni tentativo di assimilarlo alla logistica, o ad altri contratti, risulta privo di fondamento sociale e giuridico. Vista e considerata la natura essenzialmente autonoma della prestazione, la maggioranza dei rider chiede di salvaguardare la flessibilità lavorativa tipica di tale professione che verrebbe a decadere una volta instaurato il vincolo della subordinazione”.
Cosa non vi convince dell’accordo tra Just Eat e le organizzazioni sindacali FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti? E quali saranno le vostre prossime mosse? “L’accordo sottoscritto da Just Eat si pone in netto contrasto con le esigenze dei rider i quali vogliono avere la possibilità e la libertà di scegliere quando, dove e come lavorare senza essere obbligati a lavorare per un’unica piattaforma o vincolati a rispettare orari fissi e prestabiliti. Quanto alla paga, l’importo previsto è 7.50 lordi che netti significano 5 o 6 euro all’ora, una cifra irrisoria che darà luogo ad una precarizzazione inaccettabile del rapporto di lavoro. Per tali ragioni come sindacato UGL, il 30 marzo scorso abbiamo promosso una manifestazione a Roma con lo slogan #IORESTOAUTONOMO, a cui seguiranno una serie di iniziative in tutta Italia per ribadire la natura non vincolante della professione dei rider, un lavoro innovativo che va affrontato con uno strumento innovativo. L’obiettivo è quello di rafforzare le garanzie a tutela dei rider fatto salvo il presupposto della loro autonomia riconosciuta dal CCNL firmato tra UGL e AssoDelivery”.