Una manifestazione partita da Piazza XXIV maggio e che si è spostata lungo altre zone della città di Milano: Duomo, Cairoli, Stazione Centrale, viale Monza e così via e che noi di Kong News abbiamo seguito pedalando. Così i rider del capoluogo meneghino hanno dato il loro contributo allo sciopero nazionale della categoria chiamato “No Delivery Day” del 26 marzo.
L’intento era ed è non solo di accendere nuovamente i riflettori sulla situazione lavorativa dei ciclofattorini, ma cercare di coinvolgere anche i clienti chiedendo che evitassero di ordinare il cibo d’asporto tramite le piattaforme per tutta la giornata di venerdì. E, a giudicare dalla partecipazione milanese alla manifestazione organizzata dalla rete Rider X i Diritti, ci sono riusciti.
Un contratto che regolamenti la categoria una volta per tutte. Il No Delivery Day – che si è svolto in altre città da Nord a Sud d’Italia come Firenze, Roma, Palermo, solo per citarne alcune – è stato indetto per far capire come per i rider ci sia sempre più l’esigenza di applicare un Contratto Collettivo Nazionale di settore, che sia Trasporti e Logistica o Commercio. Un contratto che regolamenti una volta per tutte la categoria riconoscendo i suoi diritti e la specificità della tipologia di lavoro. Che è sicuramente sui generis, in quanto non ci sono turni prestabiliti, ma che di fatto, stando a quello che dicono i lavoratori, che pedalano a tutte le ore del giorno per consegnare cibo e non solo, è assoggettabile al lavoro da dipendente.
Ci pagano solo per ora lavorata. Come ci dice Roberto, 47 anni, che incontriamo durante la manifestazione: “Il problema è che ci pagano solo per il minimo orario e a ora lavorata, che viene calcolata dal momento in cui hai preso la consegna. Ma se io sono in giro per te (food delivery, ndr) non sono a casa a far nulla. Sono a tua disposizione per prendere la richiesta e consegnare. Ecco perché andrebbe considerato tutto il tempo realmente speso. Anche perché quando siamo partiti con il delivery si facevano altri discorsi”.
Com’era all’inizio. Roberto ha iniziato infatti diverso tempo fa: ha lavorato 3 anni e mezzo con Glovo mentre ora lavora per Deliveroo. “Allora si parlava di 2 euro a consegna e 1 euro per km e avevamo alcuni riconoscimenti come il bonus pioggia. Adesso per averlo deve davvero diluviare”. Gli fa eco Michele, 43 anni: “Se sono in giro per Milano dalle 8 alle 12, va da sé che sono a disposizione della piattaforma”. Rispetto a prima, secondo i due, ora i rider vengono precettati più facilmente: “Prima si faceva un minimo di colloquio, adesso avviene più raramente perché c’è tutto l’interesse ad avere più persone possibili che girano per la città”.
La situazione attuale: il contratto di UGL e Assodelivery e l’iniziativa di JustEat. Alla manifestazione abbiamo avuto modo di parlare anche con Davide Contu, rider e delegato Nidil-Cgil, che ci ha chiarito la situazione attuale. Se infatti avete letto di un accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Assodelivery (il sindacato delle aziende di food delivery) siglato il 24 marzo, come ci spiega Davide che è anche membro di Rider x i Diritti: “è un passo importante e riguarda l’impegno contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo (di cui anche noi di KongNews avevamo parlato nell’articolo su Riders e caporalato digitale, ndr). Ma questo non sminuisce il peso delle nostre richieste di oggi, tutt’altro. Quello che vogliamo è un contratto che nelle sue deroghe preveda di considerare la situazione che vivono i rider”.
Quello invece siglato da UGL e Assodelivery è infatti definito “capestro” dai rider mentre per quanto riguarda JustEat che sta provvedendo ad assumere i suoi rider la situazione è diversa: “Si tratta di un regolamento aziendale interno”, ci spiega ancora Davide,“che recepisce alcune indicazioni date a livello europeo. Però la paga è troppo bassa, quello che vogliamo è un CCNL che si pronunci anche a livello di tariffa e che preveda uno schema di flessibilità necessario per questo tipo di lavoro. Noi apprezziamo che JustEat si sia posto il problema e l’abbia affrontato e questo ci aiuta anche nella nostra lotta per la tutela dei diritti di tutti i rider, ma c’è ancora da fare”.
Oltre a JustEat, ci son state altre iniziative simili come ci racconta Contu: “Mymenu per esempio sta applicando il CCNL trasporti e logistica. A Firenze anche il delivery Tadan ha siglato accordi con i sindacati. Si tratta di aziende che, essendo operative su poche città, hanno costi di gestione più alti, ma quello che ci interessa è che si sta muovendo una mentalità che riconosce i diritti e si sta aprendo a un certo tipo di ragionamento. Anche perché una volta che JustEat sarà andata in una certa direzione, gli altri food delivery non potranno essere da meno”.
E a che punto siamo con le trattative con le istituzioni? “Il tavolo è ancora aperto, ma c’è di positivo che qualche giorno fa il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha incontrato (in videoconferenza, ndr) la collega spagnola Yolanda Diaz. E questo fa ben sperare”.
Italia e Spagna in pratica stanno lavorando di comune accordo per mettere al centro delle loro politiche la regolamentazione del lavoro al tempo delle piattaforme digitali. E i cugini spagnoli sono d’altra parte i primi ad aver firmato un accordo con i sindacati per varare una legge che riconosca i rider come personale salariato. Anche se in Spagna pare che questo abbia scontentato chi vuole lavorare come indipendente.
Il lavoro dei rider? Piace molto a chi lo fa. Quanto al lavoro del rider dobbiamo dire che durante la manifestazione abbiamo avuto modo di parlare con gente molto contenta di farlo, checché di solito se ne dica. A svolgerlo non sono solo persone che non hanno alternative, ma c’è chi sceglie questa professione e l’apprezza tantissimo.
Roberto e Michele che abbiamo citato prima ce lo dicono chiaramente: “A noi piace andare in bici, per la città di Milano, senza avere nessuno che ti dice quello che devi fare. Abbiamo unito la passione per la bicicletta al lavoro di consegna”. E anche Lupo Borgonovo, artista milanese, ce lo conferma: continua a fare il rider con molta soddisfazione. “Ho iniziato perché incuriosito come artista (suoi sono dei video girati durante il primo lockdown con la GoPro, ndr) e tuttora lo faccio perché mi piace. Conosci tantissima gente, vedi la città, fai amicizie, conosci ‘nuovi mondi’ e giri in bicicletta”.