È una delle analisi più autorevoli e interessanti sulla condizione dell’Italia e quest’anno assume un valore ancora più importante alla luce delle difficoltà vissute a causa della pandemia e delle trasformazioni che questa ha determinato. È il Rapporto sul benessere equo e sostenibile (BES), dell’Istat che fornisce annualmente un’analisi dei progressi e delle criticità delle dimensioni del benessere per il Paese, a dieci anni dall’avvio del progetto.
Tra le novità di quest’anno, l’introduzione di 33 nuovi indicatori su di un totale di 152 che analizzano dodici aree tematiche: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.
Un dato che colpisce è quello relativo alle gravi difficoltà di un’ampia fascia della popolazione italiana. La stima preliminare per il 2020 identifica infatti oltre 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta in Italia, con un’incidenza media pari al 9,4% del totale della popolazione dal 7,7% del 2019: si tratta dei valori più elevati dal 2005. La povertà cresce soprattutto al Nord, area particolarmente colpita dalla pandemia, dove la percentuale di poveri assoluti balza dal 6,8% al 9,4% degli individui; più contenuta, invece, la crescita al Centro (dal 5,6% al 6,7% degli individui) e nel Mezzogiorno (dal 10,1% all’11,1%).
Riguarda, inoltre, prevalentemente le famiglie con bambini e ragazzi: l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005) per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri, 209mila in più rispetto all’anno precedente. Un dato allarmante che rivela la difficile condizione di una fascia di cittadini che rappresentano il futuro del paese.
La famiglie italiane, tradizionalmente portate al risparmio, all’acquisto della propria abitazione e a limitare il ricorso all’indebitamento hanno vissuto un 2020 estremamente difficile. Il 28,8% del totale ha dichiarato un peggioramento della situazione economica familiare rispetto all’anno precedente. Nel 2019 questa percentuale era stata del 25,8%. A percepire una condizione economica in peggioramento sono state soprattutto le famiglie con 3 o più componenti, le persone sole sotto i 65 anni e le famiglie dove vive almeno un minore.
La pandemia ha inoltre decisamente compromesso i progressi messi a segno dall’Italia negli anni scorsi. Nel 2019 infatti gli indicatori legati alle capacità reddituali e alle risorse economiche, che consentono alle famiglie di raggiungere un determinato standard di vita, avevano registrato sostanziali segnali di miglioramento. Risultavano infatti in calo la quota di persone che dichiarano di arrivare a fine mese con grande difficoltà (8,2% da 9,7% dell’anno precedente); le persone in condizione di grave deprivazione materiale (7,4%, in forte discesa da 8,5% del 2018).
Interessante notare come, nonostante la pandemia, aumenti leggermente rispetto al 2019 la percentuale di popolazione che esprime un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita. Si passa infatti dal 43,2% del 2019 al 44,5% del 2020 anche se si mantengono le differenze territoriali con una maggiore percentuale di soddisfatti per la propria vita al Nord (48,4%), quasi quattro punti percentuali in più della media nazionale, e livelli più bassi al Centro e nel Mezzogiorno (rispettivamente, 43% e 40%). La situazione critica determinata nel Paese dall’epidemia da Covid-19 ha avuto però un impatto negativo sulle prospettive future. Dopo anni di aumento, nel 2020 scende al 28,9% la percentuale di persone che prevedono un miglioramento della propria situazione nei prossimi cinque anni (30,1% nel 2019). Contemporaneamente aumenta al Nord e al Centro, dopo anni di riduzione, la quota di quanti ritengono che la propria situazione peggiorerà nei prossimi cinque anni (13,3% al Nord, un punto percentuale in più rispetto al 2019, 14% al Centro, +1,5 punti percentuali).
In un’epoca di zoom meeting e didattica a distanza è significativo constatare come nel 2020 un terzo delle famiglie italiane non disponga di computer e accesso a Internet da casa con differenze molto accentuate guardando il titolo di studio: dal 7,2% delle famiglie in cui almeno un componente è laureato si passa al 68,3% di quelle in cui in cui il titolo più elevato è la licenza media.
Costanti progressi si rilevano però nella copertura della rete Internet. Nel 2019, il 30% delle famiglie ha avuto accesso a reti di nuova generazione ad altissima capacità (+6,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente). Tuttavia, permangono differenze molto ampie sul territorio con regioni – come Lazio, Liguria e Campania – dove la quota di famiglie servite da connessione a banda ultralarga (FTTH) è superiore al 40%, e territori che non raggiungono nemmeno il 10% come le Marche, il Molise e la provincia autonoma di Trento.
Uno dei tanti dati che mettono in evidenza le grandi disomogeneità su scala territoriale di cui l’Italia continua a soffrire e che la pandemia ha sicuramente acuito.
Riuscirà il Governo Draghi, a fare dei fondi del Recovery Plan non solo uno strumento di rilancio dell’intero paese ma anche un’occasione per mettere in atto efficienti ed efficaci politiche di coesione che riducano le distanze tra le diverse aree del paese? Dalla risposta a questa sfida dipenderà il futuro della società e dell’economia italiana nei prossimi decenni.