Delixia, azienda italiana specializzata nella produzione di Dolce di Latte o “Dulce de Leche”, è’ stata fondata nel 2008 come partecipata della Sbaraglia Group Srl ed ha la sua sede a Spoltore, nel cuore dell’Abruzzo incontaminato. Con la messa in funzione della nuova linea di produzione, alimentata da un sistema di pannelli fotovoltaici che garantisce all’azienda energia pulita, la capacità produttiva è passata dai 200 kg/ora iniziali ai 400 kg/ora attuali. Ecco che, infatti, sin dai primi passi l’azienda si è rivolta anche ai mercati esteri e attualmente esporta regolarmente in oltre 20 paesi di tutti i continenti. Lo spirito di Delixia è quello di produrre un dessert che sia al tempo stesso gratificante, energizzante, salutare, aggregante e piacevole ad ogni palato. Tutte prospettive che possono essere raggiunte e concretizzate guardando verso un unico obiettivo: quello di contribuire a rinnovare il settore dolciario italiano attraverso l’innovazione di un prodotto quale il dolce di latte.
L’intervista. A raccontarci la storia dell’azienda, la mission e la strategia vincente per continuare a crescere nonostante un periodo difficile come quello che stiamo affrontando a causa dell’emergenza pandemica è Claudio Sbaraglia nonché il fondatore, insieme al fratello Roberto, dell’azienda.
Se le chiedessi di raccontarci la sua azienda a 360 gradi, da dove partirebbe? La nostra, è una storia di rientro in patria. Come tanti italiani nel dopoguerra i nostri genitori, entrambi abruzzesi, si trasferirono in Argentina, dove io e mio fratello, nonché attuale socio Roberto, siamo cresciuti. Entrambi laureati in Giurisprudenza, siamo rientrati a Pescara nel 1985, dove abbiamo iniziato la nostra attività imprenditoriale acquistando il Bar presso la Camera di Commercio locale e, contemporaneamente, avviato una società di import-export. I prodotti che trattavamo erano molto diversi e questo ci costrinse ad approfondire numerose materie e mercati, acquisendo notevole esperienza. Spaziavamo dall’abbigliamento al medicale, dai fertilizzanti ai cavalli da polo e così via. Successivamente ci concentrammo sui combustibili solidi (carbonella, pellet e legno) che diventarono il nostro core business. Tuttavia, in seguito, decidemmo di diversificare, creando una produzione alimentare in grado di coniugare il made in Italy con un prodotto molto diffuso in Argentina. Il “dulce de leche”, anche noto come “dolce di latte” che ci aveva accompagnato nella nostra infanzia nonché una dolce crema spalmabile. La produciamo nello stabilimento di Spoltore (PE) con il marchio DELIXIA sin dal 2009. Oggi, nonostante le innumerevoli difficoltà comuni a tutte le attività produttive in Italia, esportiamo in più di venti paesi nel mondo e, malgrado l’impossibilità di viaggiare, grazie alla tecnologia ed anche al nostro background, continuiamo ad espanderci, soprattutto all’estero.
Per cosa si differenzia la vostra azienda? Qual è il vostro punto di forza? Siamo ancora una piccola realtà ma con delle basi solide per affrontare sempre nuovi mercati. Produciamo in un moderno stabilimento, utilizzando fonti di energia rinnovabili e dal 2012 abbiamo ottenuto due importanti certificazioni di qualità e di sicurezza alimentare, oltre a quella BIO. Recenti investimenti in nuovi macchinari ci hanno consentito di raddoppiare la capacità produttiva. Ci rivolgiamo principalmente a due settori, quello della prima colazione con i vasetti delle nostre creme spalmabili e quello delle produzioni dolciarie, gelato incluso, dato che il dolce di latte è molto utilizzato sia in gelateria che in pasticceria. Personalmente, non amo le autocelebrazioni e da questo atteggiamento discende la nostra politica aziendale. Lavoriamo intensamente ma con molta umiltà, ascoltando la voce del cliente. Di quest’ultima ci nutriamo per cercare di anticipare le tendenze, guardiamo con curiosità gli altri mercati per prendere spunti con cui innovare in un settore che solo negli ultimi anni ha cominciato a recepire le proposte non tradizionali. Così siamo stati i primi a creare il dolce di latte biologico con certificazione europea e anche gli unici a delattosare il latte per renderlo adatto anche agli intolleranti al lattosio. Oggi queste cose possono sembrare normali ma dodici anni fa non lo erano. Oltre ai prodotti, che generalmente sono il connotato di un’attività manifatturiera, noi siamo sempre più protesi ad aggiungere il servizio da offrire ai nostri clienti.
Quali sono le maggiori sfide che negli anni vi siete trovati ad affrontare e in che modo siete riusciti a superarle? La nostra idea imprenditoriale riguardante la produzione dolciaria risale al 2001 ma solo dopo otto anni siamo riusciti a concretizzare la prima produzione. Eravamo logicamente entusiasti all’idea di poter finalmente partire, tuttavia la crisi dei cosiddetti mutui subprime si stava trasferendo anche all’economia reale dell’Italia, con pesanti ripercussioni sui consumi. Per una start-up non era sicuramente lo scenario ideale. Ci siamo trovati di fronte alla decisione di proseguire o meno, ma “meno” non rientrava nei nostri schemi mentali, quindi decidemmo di adattare la nostra strategia, concentrandoci sui pochi clienti e mercati fino a quel momento serviti, ma con la convinzione di potercela fare. Ritengo che la chiave per affrontare le sfide, che inesorabilmente si verificano, sia adottare un atteggiamento proattivo verso la propensione al rischio. Ogni imprenditore deve necessariamente possedere questa propensione, ma il rischio deve essere calcolato. Nel nostro caso, l’investimento iniziale era stato dimensionato al necessario per poter iniziare l’attività. Spesso quando si pianifica una nuova impresa ci si concentra nelle barriere all’entrata, ma si trascura quelle in uscita.
Come avete reagito all’importante impatto causato dall’emergenza Covid-19? Come abbiamo visto, in questo primo anno dall’inizio della pandemia, nessuno era preparato ad un evento del genere. Nemmeno chi avrebbe dovuto. La nostra reazione iniziale è stata simile a quella che alcuni animali adottano quando bisogna risparmiare le energie per affrontare l’inverno. Una sorta di letargo fisiologico in attesa della primavera che presto arriverà. Da un punto di vista pratico, abbiamo adempiuto agli obblighi prescritti per mettere in sicurezza laboratori e struttura. Successivamente ci siamo concentrati sui contatti virtuali ed abbiamo potenziato l’e-commerce, cercando di sfruttare ogni iniziativa, soprattutto con l’estero, che rimane per noi un tassello fondamentale della nostra strategia. Certamente la pandemia ha rallentato i nostri piani così come la nostra crescita, d’altronde inevitabile visto che una parte consistente della nostra clientela appartiene al settore della ristorazione, gelaterie e pasticcerie. Per la prima volta la caratteristica anticiclica del settore alimentare si è allineata con il resto dei comparti a causa delle chiusure forzate.
In quale prospettiva deve guardare l’imprenditore di oggi per essere sempre competitivo e al passo con i tempi? Il lungo termine è insito nella parola imprenditore, poiché l’obiettivo ultimo di un’impresa non deve essere l’immediato profitto, bensì un profitto stabile e duraturo. Al giorno d’oggi un imprenditore dovrebbe mirare alla creazione di valore, con un approccio basato sulla triplice dimensione dell’attività economica di un’impresa: il raggiungimento del profitto, il rispetto della comunità e la tutela dell’ambiente. L’essere competitivi, ma soprattutto rimanervi nel tempo, comporta coniugare insieme al “learning by doing”, la formazione continua. Quest’ultima deve essere una propensione impressa nel DNA di ogni imprenditore, poiché chi si ferma inesorabilmente regredisce; ci sarà sempre un nuovo concorrente che tenterà di superare la tua performance. È fondamentale avere una visione strategica e preparare i propri collaboratori in termini di competenze digitali. Difatti, chi acquisirà questo know-how e sarà in grado di declinarlo nella propria attività, riuscirà ad ottenere un netto vantaggio competitivo. Tuttavia, è bene precisare che l’impresa non è un’isola ed il suo successo o fallimento dipende molto anche dal contesto nel quale si trova ad esercitare la propria attività.
In che modo valorizzare il Made in Italy e l’eccellenza di cui siamo portatori in un mercato sempre più volto alla produzione industriale di massa a basso costo e a basso valore aggiunto? L’imprenditore italiano sembra possedere un dono naturale per quanto riguarda la capacità di creare e di adattarsi a delle condizioni non ottimali. Ma ovviamente questo non basta per avere successo. Per valorizzare e rendere eccellente un prodotto o un servizio si deve poter contare su un sistema bancario che accompagni la crescita aziendale, una pubblica amministrazione che non sia d’intralcio e delle infrastrutture che permettano di essere tempestivi, favorendo la competitività nello scenario internazionale. Oggi Il Made in Italy come l’Italia tutta si trova davanti ad un bivio. Occorre una “rivoluzione positiva” che ci riporti ai primi posti, altrimenti le nostre eccellenze saranno inevitabilmente sempre meno. L’Italia, come del resto tutte le economie più avanzate, ha da tempo ridimensionato la propria presenza nella partita delle produzioni di massa. Ma, tutto sommato, questo non sarebbe un fatto negativo se potessimo giocare nello scenario delle produzioni ad alto valore aggiunto. Una delle chiavi consiste nel rendere, non sulla carta, ma concretamente disponibile alle PMI, l’accesso a ricerca e sviluppo con accordi impresa-università. Questo libererebbe l’enorme potenziale creativo a cui facevo riferimento prima.
Un consiglio che si sentirebbe di dare ad un giovane che decide di intraprendere la strada dell’imprenditoria? In un mondo caratterizzato da una crescente instabilità e competitività, la scelta di fare impresa diventa quasi una strada obbligata per molti giovani. Tuttavia, la mancanza di sicurezza e protezione, insita nella quotidianità di chi deve auto generarsi uno stipendio, non deve creare ansia. Deve essere invece uno stimolo in più per raggiungere gli obiettivi prefissati. Ad un giovane con dei progetti imprenditoriali in mente può essere utile la cosiddetta strategia dell’ultima possibilità. Si narra che il brillante condottiero e stratega Alessandro Magno, trovandosi davanti l’esercito dei Persiani, condusse alla vittoria il suo esercito, numericamente molto inferiore, ordinando di bruciare le proprie navi. Questo espediente costrinse i suoi uomini a lottare per conquistare le navi nemiche per poter tornare a casa. Ecco, questo penso che sia l’atteggiamento giusto da tenere poiché nell’impresa, come del resto nella vita tutta, cadere è un atto frequente, ma arrendersi non rientra tra le reazioni possibili.