La pandemia ha sconvolto completamente l’economia mondiale tra settori in ginocchio, soprattutto turismo e ristorazione, e altri per i quali il virus ha costituito un formidabile volano di crescita. Basti pensare al commercio online che, grazie alle restrizioni e al timore del contagio, ha messo a segno numeri da record. L’ISTAT ha infatti certificato che a gennaio 2021 le vendite online sono cresciute del 38,4% rispetto allo stesso mese dello scorso anno e a beneficiare di questo trend inarrestabile è stata soprattutto Amazon. Il colosso americano fondato da Jeff Bezos, oggi l’uomo più ricco del mondo, ha visto raddoppiare nel 2020 i propri utili in Europa rispetto al 2019 passando da 981 milioni a oltre 2,2 miliardi di euro (+124%), circa il 12% dei profitti realizzati a livello globale.
La crescita impetuosa di Amazon non è però stata accompagnata da un rapporto sereno con le parti sociali tanto che l’azienda negli ultimi anni ha dovuto affrontare diverse agitazioni, tra le quali quella proclamata a febbraio dalla CGIL nel mega hub di Vigonza. Nulla di paragonabile però a quello che accadrà lunedì 22 marzo quando a incrociare le braccia sarà l’intera filiera di Amazon.
Uno sciopero generale di 24 ore dei dipendenti diretti dei magazzini, cui è applicato il contratto nazionale della logistica e di tutti i lavoratori delle aziende di fornitura in appalto di servizi di logistica, movimentazione e distribuzione delle merci della filiera Amazon in Italia. Un’iniziativa senza precedenti promossa dai sindacati confederali Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti in seguito all’interruzione delle trattative.
Tra le rivendicazioni sindacali alla base dello sciopero ci sono la verifica dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti, la verifica e la contrattazione dei turni di lavoro, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, la clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali ed il rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza.
Rivendicazioni complesse e delicate per un’azienda come Amazon profondamente radicata in Italia, paese nel quale dal suo arrivo nel 2010 ha investito oltre 5,8 miliardi. Oggi l’azienda americana conta più di 9.500 dipendenti a tempo indeterminato (di cui 2.600 solo nel 2020) nelle sue oltre 40 sedi e che rappresenta un importante volano per l’economia del nostro paese. Quasi 600 realtà italiane hanno infatti superato gli 850.000 euro di vendite su Amazon e i partner di vendita italiani hanno superato in totale 500 milioni di euro di fatturato all’estero. Inoltre, a sostegno della loro crescita digitale, hanno creato oltre 25.000 posti di lavoro.
Numeri importanti che certificano la crescita dell’economia digitale nel nostro paese; una crescita però sempre più dipendente da una filiera che oggi rivendica il proprio peso.
“É il primo sciopero della filiera Amazon d’Italia e sicuramente d’Europa – evidenzia il segretario nazionale della Filt Cgil, Michele De Rose – un’iniziativa che non ha riscontro nemmeno negli Stati Uniti. La multinazionale americana deve prendere atto, suo malgrado, che il sindacato fa parte della storia del nostro paese e con le rappresentanze dei lavoratori deve confrontarsi, nel rispetto di un sistema corretto di relazioni sindacali e delle tutele e regole previste dal Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizione”.
Se lo sciopero dovesse effettivamente verificarsi costituirebbe un significativo spartiacque dal punto di vista delle relazioni sindacali legate all’e-commerce con possibili conseguenze non solo per Amazon ma per tutte le aziende del settore. La pandemia ha accelerato il cambiamento dell’economia globale e agitazioni come quella del 22 marzo ne costituiscono una inevitabile conseguenza.