Sono rientrate nella nottata di martedì le salme di Luca Attanasio, ambasciatore presso la Repubblica Democratica del Congo, e Vittorio Iacovacci, il carabiniere che accompagnava il diplomatico nella missione nella regione del Nord Kivu, uccisi da un agguato nell’area poco a nord di Goma, il capoluogo della regione, assieme all’autista del convoglio, Mustapha Milambo. Ad accogliere il rientro delle salme vi erano il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e quello degli Esteri, Luigi di Maio, oltre a un picchetto militare interforze della seconda Brigata mobile dell’Arma, di cui Iacovacci era componente.
Insieme ai corpi del diplomatico e del militare hanno viaggiato i parenti delle due vittime, visibilmente straziati dal dolore. “l’Italia piange due servitori dello Stato. Onore all’ambasciatore Luca Attanasio e a Vittorio Iacovacci, militare dell’Arma dei Carabinieri. Il nostro Paese non vi dimenticherà mai” sono state le parole del ministro Di Maio su Facebook, ma lo sconcerto resta ancora forte nel mondo diplomatico per una vicenda piena di elementi poco chiari.
Nella giornata di oggi si terranno i funerali di Stato, che si svolgeranno nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, dopo che nel corso della giornata di mercoledì sono state svolte le autopsie sui corpi. Non resta che il dolore della moglie e delle figlie del diplomatico e dei congiunti del militare, che a breve si sarebbe dovuto sposare. Tuttavia, la vicenda non è chiusa e tante sono le dinamiche da chiarire del viaggio organizzato da Goma a Rushturu per visitare una struttura di formazione del Word Food Program. Nel suo intervento al Parlamento per informare le aule, il ministro Di Maio ha chiarito che la sicurezza dello spostamento era garantita e a carico delle Nazioni Unite, oltre al fatto che sarà aperta un’inchiesta per accertare le dinamiche dell’incidente. Inoltre, gli inquirenti italiani di sentire anche Rocco Leone, il cooperante italiano sfuggito all’attacco e ricoverato sotto choc in una struttura ospedaliera locale.
Chiarire le dinamiche dell’assalto non sarà semplice data la precarietà dell’area, costante zona di guerriglia da oltre trent’anni. La Repubblica Democratica del Congo è stato teatro di un aspro conflitto dal 1994 al 2003, ribattezzata da storici e analisti geopolitici come “prima Guerra mondiale Africana”, che ha prodotto la drammatica cifra di oltre cinque milioni di morti. Purtroppo, la fine del conflitto non ha messo fine alla scia di violenza. Nonostante l’area è stata abbandonata dall’occhio mediatico occidentale, eccezione fatta per gli istituti e gli studiosi di geopolitica, questa vasta regione africana ha visto negli anni crescere il numero di guerriglieri e gruppi armati a contendersi la zona e portando costante instabilità anche negli stati confinanti al nord-est del confine congolese: Ruanda e Uganda.
Nel 2010 l’ONU decide di rafforzare la sua presenza nella zona avviando l’operazione di peacekeeping MONUSCO, cioè la Missione della Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo, che va a sostituirsi alla precedente MONUC e ha visto nel tempo lo schieramento di oltre diciassettemila caschi blu nell’area. Nonostante gli oltre dieci anni di attività, la situazione non è migliorata e oggi, nell’area compresa tra le provincie del nord e sud Kivu, dell’Ituri e del Tanganyka, sono presenti oltre 120 gruppi armati, stando ai dati del Kivu Security Tracker riportato dall’ISPI in una recente analisi. In questo quadrante, dove gli scontri hanno prodotto oltre cinque milioni e mezzo di sfollati, il dato peggiore dopo la Siria, i gruppi più miliziani più “famosi” per la loro costante attività sono l’Allied Democratic Forces (ADF), nato dai vari gruppi di ribelli ugandesi, e le Forces Démocratiques de Libération du Rwand (FDLR), nato dall’orrore del genocidio del Ruanda del 1994 ed espressione della parte più radicale degli hutu; quest’ultimo ha perso parte della sua forza negli anni, ma resta sicuramente uno dei gruppi più attivi del nord Kivu.
Al di là della situazione complessa della regione, i punti oscuri sono diversi. La prima ipotesi è che l’assalto fosse finalizzato ad un sequestro finito tragicamente, dato che il diplomatico è stato trasportato in una foresta già protagonista di altri sequestri. Il Presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, ha affermato di voler dare tutto il supporto possibile alle autorità italiane, tanto che ha lasciato l’autopsia al nucleo dei Ros presente a Kinshasa, ma allo stesso tempo il ministero degli Interni congolese ha accusato FDLR del sequestro finito in tragedia. I ribelli ruandesi dal canto loro hanno emesso affermato di non essere stati gli autori dell’assalto. Già qui i primi dubbi, poiché a oltre due giorni dall’evento nessuno ha rivendicato l’attacco e non siamo in una zona dove le milizie si facciano troppi problemi nel reclamare l’organizzazione di azioni estreme di questo tipo.
Inoltre, il convoglio delle Nazioni Unite protagonista dell’attacco era composto da due autovetture del Programma alimentare mondiale (Pam) e da sette persone, quattro congolesi e tre italiani. Come si sa, Attanasio e Iacovacci, insieme all’autista del loro mezzo, sono morti, mentre Rocco Leone, vicedirettore del WFP a Kinshasa, è rimasto fortunatamente illeso. Degli altri tre congolesi non si conosce la sorte e se siano stati effettivamente rapiti dagli assalitori. C’è poi la questione dell’autorizzazione alla missione. L’attacco, poi, si è verificato mentre il convoglio era in viaggio da Goma a Rutshuru, in una zona reputata ad alta pericolosità dalle autorità congolesi; lo stesso, però, non è sostenuto da alcuni membri e cooperanti onusiani del WFP. Tolta l’effettiva pericolosità del viaggio, vi sono altri dubbi da chiarire sullo stesso. Anzitutto, va chiarito su quale base le autorità delle Nazioni Unite hanno dato il via libera per lo spostamento e perché le vittime fossero prive di giubbotti antiproiettile. Infine, un dubbio di primaria importanza è comprendere perché uno spostamento di un convoglio così importante in un’area di crisi fosse sprovvisto di una guardia armata, eccezion fatta per il militare rimasto tragicamente ucciso.
I punti oscuri restano tanti e ci vorrà qualche tempo per comprendere la reale dinamica di questo tragico attacco, in una zona dove reperire informazioni chiare risulta spesso molto difficile. Purtroppo, rimane solo il dolore delle famiglie e dello Stato, che ha perso per sempre due brillanti e importanti servitori e cittadini modello.