Era uno dei 20 punti del programma elettorale e uno dei più importanti. Dopo sette mesi di confronto e discussione il Movimento 5 stelle ha lanciato la sua progetto di legge sul Reddito di cittadinanza. Lo ha fatto naturalmente via web, presentandolo attraverso un video online. La proposta è già stata depositata al Senato, ma fino al 26 novembre gli iscritti al Movimento (circa 90.000) potranno discuterne e suggerire emendamenti, modifiche e integrazioni tramite il portale del M5S.
Contenuti e beneficiari – Punto centrale della legge è l’istituzione di un reddito garantito di 600 euro mensili per ogni beneficiario con l’obiettivo di, “contrastare la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale nonché favorire la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione”. Il reddito di cittadinanza sarebbe destinato a “tutti i soggetti che alla data di entrata in vigore della legge hanno compiuto i diciotto anni di età, sono residenti sul territorio nazionale, percepiscono un reddito netto annuo inferiore ad euro 7.200 netti”, cifra che segna la soglia di povertà così come individuata dall’Istat.
Sarebbero previste inoltre anche delle semplici integrazioni di reddito per nuclei familiari (nuclei dove ogni componente maggiorenne ha diritto a ricevere il reddito) e pensionati che non raggiungono la soglia dei 7.200 euro al fine di sostenerli nelle spese della vita quotidiana, dagli affitti alle bollette. Dunque per esempio, come spiegato nel video, un anziano che percepisce 400 euro al mese di pensione, riceverebbe altri 200 euro in modo da raggiungere la cifra dei 600 euro. Incentivi del 5 percento sull’importo mensile sarebbero garantiti poi ai beneficiari che accettano di ricevere l’erogazione del reddito su carta prepagata e che utilizzano almeno il 70 per cento dell’importo della mensilità precedente in acquisti effettuati tramite la stessa carta prepagata, il tutto nell’ottica di favorire la fiscalità generale.
L’erogazione del reddito è garantita per tutto il periodo in cui perdura la situazione di difficoltà del soggetto, ma anche il beneficiario, specie quello in età non pensionabile, ha degli obblighi, come quello di rendersi disponibile a trovare occupazione presso i centri di impiego e a comunicare variazioni nella sua situazione reddituale.
La discussione online – “La proposta era un atto dovuto che rispetta le promesse elettorali e che ci avvicina agli altri Paesi dell’Europa – spiega l’onorevole Massimo De Rosa – In questi giorni sono già arrivati qualcosa come 5.000 commenti che alcuni rappresentati si impegneranno a raccogliere e a sintetizzare. Di certo i punti indiscutibili sono la cifra minima stabilita dei 600 euro, mentre si stanno verificando bene le condizioni di accesso”. “Il rischio dei furbi che se ne approfittino c’è – come spiega il consigliere della Regione Lombardia Stefano Buffagni – dunque si stanno studiando strumenti che limitino il verificarsi di situazioni spiacevoli”.
I costi e le risorse – Così com’è la proposta di legge costerebbe allo Stato 19 miliardi di euro l’anno in quanto sono state stimate in 9 milioni le persone in stato di povertà in Italia. Dove trovare i fondi? Le fonti di finanziamento individuate sarebbero una ventina: dai tagli al Ministero della Difesa a quelli sulle pensioni d’oro, dal gioco d’azzardo all’Imu imposto anche sui beni della Chiesa.
Ma è proprio sulla questione finanziamenti che la proposta era stata inizialmente liquidata come “una grossa balla del M5S” dal vice ministro all’Economia Stefano Fassina secondo cui “le risorse necessarie per attuarla ammonterebbero a 30 miliardi, mentre con questa legge si arriverebbe soltanto a 4”. Secondo le notizie degli ultimi giorni però, Fassina si sarebbe invece aperto a una sperimentazione del reddito a partire dalle grandi città.
“Se non ci fossero state le risorse per il progetto non ce l’avrebbero fatto depositare e ce l’avrebbero rimandato indietro – ha dichiarato Buffagni – In Lombardia per esempio stiamo pensando a un modo di reperire fondi attraverso l’abrogazione della norma contenuta nel Codice dei contratti pubblici che obbliga gli enti a pubblicare i bandi sia sui quotidiani cartacei che su quelli online anche se, ai fini della validità della pubblicità, sarebbe sufficiente la sola presenza del bando sul web. In questo modo si risparmierebbero qualcosa come 6 miliardi di euro”.