“Ti fanno fare le fotocopie”, oppure, “Cercano uno stagista con esperienza”, e ancora, “ti fanno lavorare gratis”, sono alcune delle espressioni più ricorrenti tra i giovani ed i meno giovani, quando si parla stage. Ma è davvero così deplorevole l’esperienza dello stage?
E’ opportuno intanto premettere che chi scrive ha, tanti anni fa, svolto due stage, entrambi fuori sede (questo è uno degli svantaggi dell’essere nato in provincia) senza alcun rimborso spese. In uno dei due mi davano i ticket restaurant. Li rifarei? Senza dubbio, sì. Senza quelle esperienze, non avrei mai potuto fare la carriera che ho fatto ed essere la persona che sono. Però l’ho capito solo anni dopo. Nella realtà lo stage o, se preferite, tirocinio formativo, è una tappa fondamentale per chiunque dopo la laurea – triennale o specialista – volesse entrare nel mondo delle aziende e capire direttamente come funziona il mondo del lavoro.
Lo stage in azienda corrisponde a quello che per le professioni viene comunemente definito “praticantato”, nonché a ciò che per i mestieri e le arti viene da sempre definito “apprendistato”.
Lo stage in Italia, tuttavia, non ha una bella reputazione. Perché? Certamente perché è uno strumento a disposizione delle imprese e, come qualunque strumento, siccome ci sono imprese e imprese, qualche volta viene utilizzato in maniera impropria – per non dire fraudolenta – per aggirare le normative sul lavoro, i livelli retributivi previsti dalla contrattazione collettiva ed i relativi oneri contributivi. In altre parole si confonde l’abuso, che ne fanno una piccola percentuale di aziende, con la normalità dello strumento, che in realtà presenta numerosi vantaggi.
“Cercano uno stagista con esperienza” è una delle espressioni sarcastiche tipicamente in voga sui social, con riferimento al fenomeno per cui un’azienda vorrebbe coprire una posizione lavorativa qualificata utilizzando lo stage, per evitare di assumere la figura professionale ricercata. Purtroppo questo fenomeno esiste, benché rappresenti più l’eccezione che la regola, e da anni viene largamente messo in risalto dal sistema mediatico, che offre una descrizione dello stage come uno strumento di sfruttamento di ragazzi neolaureati che, non avendo alternative a causa dell’elevata disoccupazione giovanile, sono costretti ad accettare uno stage a poche centinaia di euro al mese pur di lavorare. Di conseguenza, non senza un pizzico di demagogia, le scelte politiche degli ultimi anni hanno stigmatizzato lo stage, emanando provvedimenti che hanno reso via via sempre più restrittivo ed oneroso per le aziende il ricorso a questa formula contrattuale.
Chi paga per queste scelte e per il basso appeal di cui gode oggi lo stage? Direi che a farne le spese sono le aziende e gli stessi giovani: le aziende, tante, che così hanno maggiori difficoltà ad inserire ed addestrare giovani talenti;ma soprattutto, ne pagano i giovani laureati, i quali – o per via delle poche posizioni di stage disponibili o perché lo credono puro sfruttamento e, come tale, da evitare – perdono tantissime opportunità di crescita. Infatti, per com’è strutturato il sistema dell’education in Italia – sia dal punto di vista dei metodi didattici ancora troppo improntati sul nozionismo, sia per la tendenza dei giovani italiani che iniziano a cercare lavoro solo dopo aver terminato il ciclo di studi, diversamente dai coetanei anglofoni che durante il percorso scolastico alternano studio e lavoro – lo stage in Italia risulta essere il più efficace strumento di apprendimento delle abilità e delle competenze necessarie ad imporsi nel mercato del lavoro.
E questo a prescindere dalla tipologia di tirocinio: curriculare, extracurriculare, attraverso Garanzia Giovani. Ciò che conta non è la forma, ma la sostanza, ovvero l’esperienza formativo-lavorativa che, se ben strutturata e contestualizzata, può risultare decisiva per l’acquisizione delle competenze necessarie per esprimersi e performare nel mondo lavorativo.
Altro aspetto da tenere in considerazione è il valore curriculare dell’esperienza di stage: nel curriculum vitae lo stage ha un peso di gran lunga superiore al voto di laurea. Per la mia esperienza di head hunter, lo stage ha quasi il peso di un’esperienza di lavoro, quindi vale la pena affrettarsi ad inserirla nel proprio cv, per puntare dritto ad un contratto di assunzione. Quindi si può tranquillamente affermare che lo stage ha il duplice valore, di esperienza formativa e lavorativa insieme.
Il consiglio che mi sentirei di dare ai ragazzi è di laurearsi presto, e cercare subito uno stage in azienda da inserire nel cv, oltre che ovviamente nel bagaglio di esperienze e conoscenze. Anzi, suggerirei di fare più di uno stage, così da esplorare più realtà aziendali e relative culture, per acquisire quante più competenze possibili. Inoltre fare più stage può aprire la mente a nuovi orizzonti: non di rado è nelle esperienze di stage che si scopre la propria vera vocazione professionale. Per un neolaureato senza esperienze di lavoro, è importante vivere lo stage prima di tutto come un’esperienza formativa, la migliore possibile che, a differenza di un corso di formazione, è anche “gratuito”.
La durata ideale è di sei mesi, ma dipende caso per caso. E non è importante il “compenso”, o meglio, il rimborso. Io amo dire ai giovani: “nessuno si è mai arricchito con uno stage, e non sarai tu il primo”. Perciò, meglio un curriculare “gratis” o con un rimborso minimo, ma utile e nell’azienda giusta, piuttosto che uno stage ben remunerato ma poco utile in termini di acquisizione delle competenze. Non deve essere visto come un’occasione di guadagno economico, perché il valore qui si misura in apprendimento, esperienza, posizionamento nel mercato del lavoro. Dopo lo stage puoi puntare al contratto di lavoro subordinato. Ma se non hai fatto almeno uno stage, difficilmente verrai assunto: perché se ti manca lo stage non hai maturato i requisiti minimi perché un’azienda sia disposta a pagare la tua prestazione lavorativa. E’ il mercato che detta questa norma non scritta.