Laureata in Scienze Economiche e Bancarie, dottore commercialista e revisore legale, la sua formazione si è completata presso IMD di Losanna e alla Kelloggs Management School di Chicago. Ha svolto per oltre 30 anni attività di consulenza tributaria e societaria per clientela nazionale e internazionale. Sino al 2016 è stata Equity Partner del network internazionale Deloitte, è stata Presidente di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. fino al dicembre 2020, ed attualmente è Presidente del collegio sindacale di BNL-Gruppo BNP Paribas, Presidente del collegio sindacale di AS Roma S.p.A., Consigliera di amministrazione di LVenture Group S.p.A, società di venture capital quotata in borsa. Nel settore no profit è Consigliera di amministrazione della Fondazione del Vaticano Centesimus annus -pro pontefice, Presidente del Collegio sindacale del Comitato Italiano per l’UNICEF e Presidente del Collegio sindacale della Associazione Culturale Civita. Da molti anni si occupa di tematiche di genere, ed è responsabile della Fondazione Marisa Bellisario per la Regione Lazio; nell’ottobre 2020 è stata insignita del Premio ‘Mela d’oro’ per il management elargito annualmente da detta Fondazione.
Con la dott.ssa Cattani nel corso dell’intervista parleremo di parità di genere; la sua lunga esperienza ci aiuterà a ragionare sugli strumenti per misurare l’equità di genere, sull’urgenza di pensare seriamente a rivedere i paradigmi culturali che ancora incombono sulla società. E ancora, cosa c’è dietro i numeri che continuamente leggiamo e a i quali si ricorre facilmente quando si parla di diversity?
La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che La parità di genere è un principio fondamentale dell’Unione europea, ma non ancora una realtà. Nel mondo degli affari, in politica e nella società si potrebbe raggiungere il pieno potenziale utilizzando tutti i nostri talenti e la nostra diversità, utilizzarne la metà non è sufficiente e bisogna incentivare i progressi verso la parità tra uomini e donne. In che modo ritiene si possa andare in questa direzione e come gli strumenti che misurano l’equità di genere possono essere utili? Nel mondo degli affari è necessario sostenere una maggiore partecipazione della donna al mercato del lavoro con specifiche misure legislative , forme di agevolazione che favoriscano la istruzione e la formazione delle giovani donne nelle tematiche piu’ richieste, promuovere la cosiddetta inclusione finanziaria, ossia, attraverso misure legislative e piani di agevolazione, favorire l’accesso delle donne al credito, oggi molto sfavorito dalla modalità di valutazione del merito creditizio basata su parametri poco accessibili alle donne che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro o della creazione di impresa.
In politica, che si mostra particolarmente riluttante a realizzare una reale inclusione delle figure femminili ai massimi livelli di rappresentanza, si rende necessario introdurre un meccanismo di quote di genere, analogamente a quanto avvenuto per i consigli di amministrazione delle società quotate in borsa e per le partecipate pubbliche con la Legge 120 del 2012.
Nella società in genere, sulla scorta di questo esempio, occorre creare un analogo meccanismo di quote, anche nelle Istituzioni, così come in ogni altro ambiente lavorativo e non, in cui deve divenire culturalmente inaccettabile non avere una sostanziale parità di genere, anche nelle semplici associazioni ed in qualunque forma di aggregazione.
Strumenti di misurazione della equità di genere condivisi ed oggettivi, infine, sono essenziali per rendere qualunque azione “evidente” per chi la pone in essere e “sanzionabile” (anche semplicemente sotto il profilo della immagine) per chi non pone in essere adeguati comportamenti.
Simone De Beauvoir parlava di liberazione delle donne e del fatto che questa non possa avvenire se non con il cambiamento della società intera. Quali sono le azioni per poter avviare e sostenere un processo di cambiamento culturale? Il cambiamento di cultura si realizza attraverso la promozione di iniziative volte a favorire e valorizzare la presenza femminile in ogni ambito delle istituzioni e della società, dalla scuola di ogni ordine e grado, ai contesti sociali di ogni tipo, attraverso programmi culturali e formativi nonchè attraverso la promozione di “esempi positivi” anche tratti dallo specifico contesto di riferimento. Occorre, inoltre, porre particolare attenzione al tema della violenza di genere, anch’ esso legato ad uno stereotipo culturale di inaudita gravità nelle conseguenze, che vede la donna come oggetto di possesso. In questo triste ambito, le Istituzioni sono particolarmente investite di un compito educativo, sin dalla scuola primaria, che ha come obiettivo il progresso culturale delle giovani generazioni.
Il cambiamento culturale potrà essere raggiunto, inoltre, con programmi formativi scolastici ed extra scolastici volti ad istruire le giovani donne a mestieri ed attività che possano far emergere talento e capacità nonchè stimolare la volontà di autonoma realizzazione ed affrancamento economico. Infine, è importante sottolineare come il processo di cambiamento debba essere culturale ed investire la società civile nel suo complesso; debba, quindi, esser inserito in un generale piano strutturale volto all’eliminazione delle diseguaglianze di genere con misure trasversali rispetto a tutti i principali ambiti di azione, integrando tale prospettiva in tutte le politiche pubbliche (c.d. gender mainstreaming) come anche raccomandato dalla Unione Europea.
Diversi ostacoli condizionano le donne nel mondo del lavoro esterni ed interni all’agire quotidiano delle professioniste che desiderano avere pari opportunità. Quali sono stati gli ostacoli che ha incontrato nel suo percorso professionale? E quali gli ostacoli più difficili da abbattere? Nella mia carriera lavorativa, non ho subito discriminazioni sotto il profilo tecnico professionale ma sicuramente ho dovuto superare molte barriere culturali sia interne alla mia azienda che presso le aziende clienti nonchè nel mondo esterno.
Mi riferisco, in particolare, alla idea ricorrente che una donna possa non farcela, soprattutto a conciliare la vita lavorativa e familiare; vincere questo tipo di resistenza psicologica, assorbe molte energie e quindi va assolutamente abbattuto lo stereotipo culturale, ancora presente, in base al quale le donne siano meno disponibili alla carriera per doverla conciliare con la vita familiare; ciò priva le organizzazioni e la società in genere di una parte significativa di risorse valide. Non e’ solo un tema di inclusione ma soprattutto un tema economico di corretto utilizzo di risorse e talenti. Ritengo che anche in questo campo una adeguata formazione sia necessaria per abbattere gli stereotipi culturali ancora presenti nella nostra quotidianità.
Conciliare vita e lavoro è un tema centrale per qualsiasi società moderna ed un fatto culturale che non si può affrontare solo da un punto di vista economico né può essere solo responsabilità della donna. Quali riflessioni dovranno fare le aziende nel prossimo scenario in tema di organizzazione del lavoro e dei processi produttivi? Le carriere vanno certamente accompagnate da politiche aziendali che permettano la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata; tuttavia è’ importante sottolineare che la conciliazione è una tematica sociale che riguarda sia gli uomini che le donne e non va, quindi, trattata come una tematica di genere. Al fine di favorire la completa integrazione e avanzamento nelle carriere della componente femminile, oltre a porre in essere politiche di conciliazione, è necessario attuare, anche all’interno delle aziende, programmi per avvicinare le donne alle carriere tecniche, effettuare formazione per abbattere stereotipi di genere, prevedere programmi che facciano emergere caratteristiche e capacità di leadership tramite formazione sulle cosiddette competenze “soft”, programmi di mentoring e di coaching.
Un importante opportunità di politiche di conciliazione, inoltre, è rappresentata dalla intensa diffusione dello smartworking dovuta alla pandemia; molte aziende avevano già offerto la possibilità di usufruire di tale nuova modalità operativa ma non vi è dubbio che la emergenza sanitaria ha costretto all’utilizzo forzato di questo strumento mettendone in evidenza limiti ed opportunità.
Lo smartworking, infatti, se applicato in modo oculato e accompagnato da una adeguata formazione all’interno delle aziende, rappresenta una grande opportunità sotto svariati profili: ottimizzazione del rapporto lavoro/vita privata sia per la riduzione dei tempi di spostamento sia per la possibilità’ di svolgere le attività in tempi ed orari non predefiniti. Al fine di ottimizzarne le opportunità e l’efficacia, è necessario che le aziende formino il proprio personale ad un lavoro sempre più orientato agli obiettivi e non legato alla presenza fisica in azienda e/o ad orari prestabiliti; creino ambienti di lavoro che favoriscano il co- working quando si e’ presenti in azienda; inoltre, nel medio – lungo termine, ripensino la dislocazione delle proprie sedi in modo da favorire lo smartworking senza che si trasformi necessariamente in home working. Recenti studi, infatti, hanno evidenziato la possibilità del cosiddetto anywhere working, che avrà l’importante effetto sia di ripensare la dislocazione delle sedi aziendali (non piu’ necessariamente in un unico quartiere generale) sia di favorire la nascita di postazioni lavorative in luoghi esterni all’azienda.
Altra riflessione che le organizzazioni dovrebbero fare sarà sui sistemi di valutazione delle performance. Spesso più un rituale che un metodo proficuo per la crescita dell’azienda e delle persone le cui carriere dipendono dalle scelte soggettive del loro capo. Come andrebbe affrontata questa riflessione? Negli ultimi anni diverse grandi aziende hanno introdotto obiettivi di genere stabilendo percentuali di presenze femminili da raggiungere in un determinato arco di tempo. Dette percentuali rappresentano spesso valori medi che hanno certamente raggiunto un risultato di sensibilizzazione alla tematica ma ancora troppo blandi per raggiungere l’obiettivo primario di eliminare la disparità di genere.
Ritengo, invece, che alla tematica della parità’ di genere vadano assegnati specifici obiettivi sia qualitativi che quantitativi inseriti nel sistema incentivante aziendale (MBO) al pari degli altri obiettivi ritenuti strategici. Ciò permetterà di superare la eventuale scarsa sensibilità del valutatore alla tematica di genere e consentirà alle risorse più qualificate di emergere a prescindere dal genere di appartenenza.
Con riferimento al più’ generale cambiamento causato dalla introduzione dello smartworking, occorre implementare nei valutatori la capacità di valutare sulla base del raggiungimento degli obiettivi, superando la logica della presenza fisica, secondo un modello basato sulla fiducia e sulla oggettiva considerazione dei risultati; il vero cambiamento è, pertanto, culturale e non solo tecnologico.
Leggiamo spesso della correlazione positiva tra le buone performance aziendali e le donne in posizioni decisionali. Considerato che una buona gestione dipende dalle caratteristiche del singolo indipendentemente dall’essere donna o uomo. Cosa ne pensa e qual è lo stile di leadership più efficace che potrebbe fare la differenza tra i generi? Una ricerca di Heidrick & Struggles condotta nel mese di giugno 2020 rivela che le imprese in cui vi è una buona inclusione di genere hanno migliori fatturati, sono più innovative e hanno il doppio delle possibilità di raggiungere gli obiettivi finanziari.
La ricerca ha messo a confronto un gruppo di aziende attente alla diversità di genere ed un gruppo meno attento. In 5 anni il tasso di crescita delle aziende piu’ attente alla diversità è risultato superiore del 62%. La ricerca conclude che una buona politica di genere è una buona politica economica e sociale; occorrono oggi nuove ricette economiche e una parte può’ essere rappresentata da maggiore presenza di donne nella vita economica del paese.
In effetti è importante considerare che, dal punto di vista aziendale, il Covid ha cambiato la prospettiva ed il paradigma. Si parla infatti di un “nuovo management”, più attento ai bisogni dell’individuo, rassicurante, trasparente nella comunicazione, piu’ attento alla valutazione del rischio, capace di prendere decisioni in uno scenario non definito e di cogliere nuove opportunità ponendosi in un’ottica di sostenibilità integrale (economica, sociale, ambientale).
Occorre quindi, una leadership resiliente capace di bilanciare necessità contingenti e visione di lungo periodo. Molte di queste caratteristiche sono tipiche (non esclusive) di una leadership femminile e quindi congeniali alle donne manager o imprenditrici; pertanto il post Covid puo’ rappresentare una buona “opportunità di genere” che, auspichiamo, aziende ed individui riescano a cogliere.