Si parla spesso di Recovery Fund che, come sappiamo, è quanto l’Unione Europa ha previsto in termini di fondi per la ripresa dei paesi colpiti dal Covid-19. Si parla forse molto meno di Recovery Plan che, come fa intuire la parola, sono i progetti di riforma previsti singolarmente dai vari Paesi, tra cui l’Italia che – visto com’è andata e come sta andando con la pandemia – è tra i maggiori beneficiari.
Le tempistiche del Recovery Plan. In questo momento c’è solo la bozza del Recovery Plan, che in Italia si chiama PNRR ossia Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, inviata alle Camere e che entro il mese di aprile 2021 dovrà essere inviata all’Unione Europea.
Vediamo quali sono gli interventi previsti per migliorare la situazione del lavoro in Italia alla luce del fatto che il cosiddetto PNRR si struttura per aree “tematiche” di intervento che vengono chiamate missioni.
Le missioni del Recovery Plan sono 6: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute. Per ogni missione, come si legge nel documento, sono indicate le riforme necessarie, legate a delle componenti. Per quanto riguarda il lavoro il Recovery plan fissa 5 obiettivi all’interno delle politiche attive per il lavoro:
- Sostenere i livelli di occupazione, in particolare quella giovanile, attraverso la definizione e l’ampliamento di misure di politica attiva del lavoro a sostegno dell’acquisizione di competenze per l’adattamento ai cambiamenti del mercato del lavoro e per la ricollocazione.
- Far fronte al disallineamento tra le competenze in possesso dei lavoratori e i fabbisogni di competenze delle imprese mediante intese ai diversi livelli di governo e tra le diverse amministrazioni statali e regionali competenti, al fine di garantire l’accesso a una formazione adeguata e di qualità su tutto il territorio nazionale, definendo standard uniformi e rafforzando il sistema di certificazione delle competenze (Piano Nazionale delle Nuove Competenze).
- Far fronte alle esigenze di formazione e lavoro per i giovani con l’apprendistato duale per i giovani.
- Promuovere l’autonomia economica e l’autoimprenditorialità delle donne con il sostegno all’imprenditorialità femminile.
- Sostenere l’attivazione del Servizio Civile Universale per i giovani nella fascia tra i 18 e i 28 anni e l’acquisizione da parte di questi di competenze chiave (soft skills)
Ecco quali sono le misure cui si punta per raggiungere questi obiettivi. Per aumentare il tasso di occupazione, ridurre il “mismatch” di competenze ed evitare che i NEET (vale a dire chi non studia non lavora né tantomeno cerca), si pensa di rivedere le politiche attive del lavoro e dare vita al GOL, sigla che sta Garanzia di occupabilità dei lavoratori.
Cos’è il GOL? Un sistema di presa in carico “unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale che associ la profilazione dei servizi al lavoro alla formazione”, così si legge nel testo. Inoltre si punta a rafforzare i centri per l’impiego e a integrarli con il sistema di istruzione e formazione anche attraverso la rete degli operatori privati. Si parla poi di profilazione personalizzata dei vari disoccupati, di fissare degli standard di formazione per i disoccupati all’interno dei centri per l’impiego e anche rafforzare il sistema della formazione professionale. E questo non solo con il pubblico, ma anche attraverso partenariati pubblico-privati coinvolgendo anche le Industry Academy.
Il Fondo nuove competenze per chi lavora. Quanto ai lavoratori che sono occupati è previsto il Fondo nuove competenze per permettere alle aziende di “rimodulare l’orario di lavoro dei lavoratori al fine di favorire attività di formazione sulla base di specifici accordi collettivi con le organizzazioni sindacali”.
Si parla poi di sostegno all’imprenditoria femminile con misure di accompagnamento quali mentoring, supporto tecnico-gestionale, misure per la conciliazione vita-lavoro e azioni di monitoraggio e di valutazione.
Entra poi a pieno titolo il cosiddetto “apprendistato duale” che punta a coniugare formazione e lavoro dei giovani. E questo per rendere “sempre più sinergici i sistemi d’istruzione e formazione con il mercato del lavoro, nell’ottica di favorire l’occupabilità dei giovani tramite l’acquisizione di nuove competenze, con la modalità di apprendimento on the job spendibili sul mercato del lavoro”.
Si punta molto sulla formazione in questo Recovery Plan per far sì che ci siano dei percorsi che la colleghino direttamente al lavoro e alle esigenze dei fabbisogni professionali delle imprese, fornendo al tessuto produttivo. Questo appunto per colmare il divario o mismatch tra le competenze possedute e le posizioni ricercate.
Il Recovery Plan dà spazio anche al Servizio Civile Universale con l’obiettivo di disporre di un numero più elevato di giovani che possano così compiere un percorso di apprendimento non formale, attraverso il quale accrescono le proprie conoscenze e competenze e sono meglio orientati rispetto allo sviluppo della propria vita professionale.
Le risorse. Quanto alle risorse si prospetta che per le politiche attive del lavoro saranno impiegati 12,62 miliardi di euro.