Alla fine di dicembre 2020, i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica (24 contratti) riguardano il 19,1% dei dipendenti – circa 2,4 milioni – con un monte retributivo pari al 19,8% del totale. Nel corso del quarto trimestre 2020 è stato recepito il solo accordo del legno e prodotti in legno ed è scaduto quello dell’edilizia.
I contratti in attesa di rinnovo a fine dicembre 2020 sono 49 e coinvolgono circa 10,0 milioni di dipendenti (l’80,9% del totale), 300 mila lavoratori in più rispetto al dato di fine settembre. Il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, nel corso del 2020 è aumentato, passando da 11,8 mesi a gennaio a 20,1 mesi a dicembre.
Nella media del 2020 l’indice delle retribuzioni orarie è cresciuto dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Anche l’indice mensile delle retribuzioni contrattuali registra un aumento tendenziale dello 0,6% rispetto a dicembre 2019, pur restando invariato rispetto a novembre; in particolare, l’aumento ha raggiunto lo 0,8% per i dipendenti dell’industria, lo 0,7% per quelli dei servizi privati ed è stato nullo per la pubblica amministrazione.
Nel dettaglio, gli aumenti tendenziali più elevati riguardano il settore del credito e assicurazioni (+2,2%), l’edilizia (+1,6%), l’estrazioni minerali ed energia e petroli (entrambi +1,4%); nessun incremento per l’agricoltura, il commercio, le farmacie private, le telecomunicazioni e la pubblica amministrazione.
Ma per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori si tratta di “dati negativi, per di più falsati! L’incremento delle retribuzioni, – spiega Dona, come riporta Italia Oggi – visto che l’Italia nel 2020 era in deflazione, -0,3% l’indice Foi, potrebbe anche essere considerato sufficiente, se non si trattasse di un’illusione ottica. Infatti, – prosegue il presidente dell’Unione Consumatori – l’indice delle retribuzioni contrattuali per definizione non tiene conto dell’applicazione della Cig. Se questo non è solitamente rilevante in periodi normali, ora diventa una crepa irreparabile, a cui va aggiunto che, tanto per cambiare, nei momenti di maggiore crisi i contratti non vengono mai rinnovati e questo avrà ripercussioni nel 2021″.