Nel periodo estivo luglio-settembre 2020 le presenze dei clienti negli esercizi ricettivi sono complessivamente il 63,9% di quelle dell’anno precedente. Il calo è dovuto soprattutto alle presenze dei clienti stranieri, sono soltanto il 39,7% rispetto allo stesso trimestre del 2019; per i clienti italiani sono l’86,2%. Nei primi tre trimestri del 2020 diminuiscono drasticamente i viaggi svolti per motivi di lavoro dai residenti nel nostro paese(-59%) e, in misura minore ma comunque ampia, quelli per vacanze (-23%). Lo rileva l’Istat in una nota.
I dati. Nel 2020, a seguito della pandemia da Covid-19, in tutti i Paesi europei i flussi turistici subiscono un profondo shock. Nei primi 8mesi del 2020, Eurostat stima che il numero delle notti trascorse nelle strutture ricettive nell’Unione europea (Ue) a 27 sia pari a circa 1,1 miliardi: un calo – prosegue l’Istituto – di oltre il 50% rispetto allo stesso periodo del 2019. I dati provvisori del nostro Paese, relativi ai primi nove mesi del 2020, sono in linea con il trend europeo (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019,con quasi 192 milioni di presenze in meno) ed evidenziano l’entità della crisi del turismo interno generata dall’emergenza sanitaria, dopo anni di crescita costante del settore.
I flussi turistici. Il 2019, infatti, – si legge nella nota – aveva fatto registrare un ulteriore record dei flussi turistici negli esercizi ricettivi italiani, con 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze e una crescita, rispettivamente, del 2,6%e dell’1,8% in confronto con l’anno precedente. L’espansione dei flussi turistici sembrava confermata dalle prime evidenze dei dati di gennaio dell’anno 2020 (+5,5%gli arrivi e +3,3%le presenze di clienti negli esercizi ricettivi italiani rispetto allo stesso mese dell’anno precedente).
Ma già dal mese di febbraio – evidenzia l’Istat – si rendono visibili gli effetti della pandemia e delle conseguenti misure di contenimento (-12,0% gli arrivi e -5,8%le presenze). Nei mesi del lockdown (in particolare,dall’11 marzo al 4 maggio) la domanda quasi si azzera e le presenze nelle strutture ricettive sono appena il 9% di quelle registrate nello stesso periodo del 2019.In particolare, il calo delle presenze è pari a -82,4% a marzo, a -95,4% ad aprile e a-92,9% a maggio. Pressoché assente la clientela straniera (-98,0% sia ad aprile che a maggio).
Nei mesi del lockdown, la variazione, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, – si legge ancora nella nota – è pari a-91,0%con una perdita di quasi74 milioni di presenze, di cui 43,4 milioni di clienti stranieri e 30,3 milioni di italiani. Nel mese di giugno 2020, in seguito alla possibilità di ripresa degli spostamenti interregionali, i flussi turistici iniziano timidamente a risalire; tuttavia, le presenze totali rappresentano appena il 21% di quelle registrate nello stesso mese del 2019: la perdita di presenze rimane particolarmente alta per la componente straniera (-93,1%) rispetto a quella domestica (-63,3%).
Il trimestre estivo (luglio, agosto e settembre) vede un recupero parziale, in particolare nel mese di agosto. La ripresa è decisamente più robusta per la componente domestica nazionale mentre risulta molto limitata, anche nel mese di agosto, per quella estera. Nel trimestre luglio-settembre, infatti, le presenze totali sono pari a circa il 64% di quelle registrate l’anno precedente, con una perdita di più di 74,2 milioni di presenze, ma con performance delle due componenti fortemente divergenti: i pernottamenti dei clienti italiani – aggiunge l’Istat – raggiungono poco più dell’86% di quelli rilevati lo scorso anno, quelli relativi ai clienti stranieri appena il 40%.
Nelle grandi città, cioè nei 12 comuni italiani con più di 250 mila abitanti, infine si è registrata una flessione delle presenze nei primi 9 mesi del 2020 pari al -73,2% e un andamento peggiore rispetto alla media nazionale (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019). Per i comuni a vocazione culturale, storico, artistica e paesaggistica la diminuzione è del 54,9%, per quelli con vocazione marittima è del 51,8%. I comuni a vocazione montana, invece, – conclude l’Istituto – registrano un calo inferiore alla media nazionale (-29,3%).