Sono settimane che il dibattito politico e istituzionale è totalmente focalizzato sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, noto ai più come Fondo salva-Stati o con la semplice sigla MES, e del suo eventuale utilizzo. Tuttavia, spesso c’è parziale confusione sul contenuto e funzionamento di questo strumento europeo da parte dei cittadini, dato che il dialogo tra le forze politiche è già avanzato in merito al contenuto e al suo eventuale utilizzo. Andiamo, dunque, ad analizzare il suo funzionamento, cercando di analizzare eventuali pro e contro di un suo eventuale utilizzo. Naturalmente, per poter procedere è necessario partire dalle origini stesse del MES.
Le origini. Il Meccanismo Europeo di Stabilità nasce a seguito dello scoppio della crisi economica globale del 2008. Tra il 2010 e il 2011 diversi Paesi europei si trovarono sull’orlo del baratro a livello finanziario e molti ricorderanno in particolare il caso della Grecia, diventato simbolo di quella fase politica. L’Unione si era trovata ad affrontare la situazione con le mani legate, dato che l’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento Dell’Unione Europea (TFUE) vietava agli Stati membri, oltre che alla Banca Centrale Europea (BCE), di salvare gli Stati in difficoltà. Il senso della norma era volto ad evitare che i Paesi appartenenti alla UE si indebitassero in maniera sproporzionata, nella convinzione che il sistema istituzionale europeo o gli altri Stati gli sarebbero prodigati nel loro salvataggio ogni volta.
L’istituzione. Tuttavia, la crisi economica aveva portato ad una situazione eccezionale e molti cittadini europei iniziavano a subirne le pesanti conseguenze, quindi era diventato necessario per Bruxelles trovare una soluzione per aggirare il principio dell’art.123 senza compromettere i principi dei trattati. Così, venne deciso di istituire un fondo apposito a tali emergenze: inizialmente fu creato il temporaneo Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF), con il quale furono erogati 175 miliardi di euro di prestiti a Irlanda, Portogallo e Grecia, al quale fece seguito il permanente MES. Tra i Paesi che più di tutti richiesero l’istituzione del Meccanismo c’era proprio l’Italia, la quale era preoccupata dalla mancanza di soluzioni europee qualora il debito pubblico fosse diventato insostenibile; in realtà, un problema in primo piano allora come oggi nella dura fase di pandemia. Così, venne istituito il MES, una organizzazione internazionale con un trattato istitutivo che è stato affianca a quelli UE, al posto di essere incluso come fatto in altre situazioni. Il Meccanismo può contare di un capitale da 700 miliardi di euro finanziati con il contributo dei Paesi membri UE, dei quali il maggior contributore era ed è la Germania con il 27% del capitale, mentre lo Stato italiano partecipa con una quota del 18%. Il MES, come tutti ben sanno, può concedere prestiti ai Paesi in difficolta e fino ad ora è stato adottato da Cipro, che ha ricevuto 6,3 miliardi, Grecia, 61,9 miliardi, e Spagna, 41,3 miliardi. Naturalmente, il prestito non è privo di condizionalità: uno Stato che ha richiesto il prestito è obbligato ad approvare un “memorandum d’intesa” dove vengono definiti in maniera rigorosa gli impegni dello stesso in merito alla riduzione del debito pubblico e alle riforme strutturali necessarie.
La riforma e l’evoluzione. Dunque, come visto il MES nasce dalla necessità di inserire un fondo apposito per tali emergenze nel quadro istituzionale europeo. Tuttavia, l’aver solo affiancato la nuova organizzazione ai Trattati della UE e non averlo integrata nell’architettura istituzionale europea, rischiava di non risultare adeguata in nuove fasi di crisi e di rischio per l’Eurozona. La necessità di riforma del MES è apparsa da subito una necessità e negli anni diverse sono state le proposte di riforma. Dopo diversi anni di discussione e di proposte accantonate si arrivati alla proposta di due riforme principali. La prima riguarda la capacità del MES di fornire il backstop, interpretabile come una sorta di garanzia, per il Fondo di risoluzione comune: in pratica il Meccanismo andrebbe a rappresentare il garante stesso del Fondo, ancora in via di creazione talaltro, qualora uno o più Banche centrali dei Paesi membri fossero in difficoltà. In merito al Fondo di risoluzione, va anche precisato che è stato voluto anche per accantonare le risorse utili a salvare le banche di primario interesse per l’intero sistema dell’Unione. Una riforma non molto apprezzata dai Paesi del Nord, preoccupati di dover fronteggiare rischi assunti dalle banche di altri Paesi, in particolare quelli del Sud. Una preoccupazione forse un po’ esagerata, dato che il MES è finalizzato ad aiutare anche i Stati membri con i conti pubblici in buono stato, anche se è un ipotesi improbabile.
La seconda riforma. Al di là delle critiche sulla prima rimodulazione, i maggiori mal di pancia a livello europeo sono stati per il secondo progetto di ristrutturazione del Meccanismo. Il MES ha due possibili soluzioni a livello di linee di credito per intervenire: il Precautionary Conditioned Credit Lines (PCCL) e l’Enhanced Conditions Credit Lines (ECCL). Secondo il Trattato del MES originale al PCCL potevano accedere gli Stati a rischio ma rispettosi di determinate condizioni, cioè il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) e un debito pubblico. Naturalmente, erano previste delle condizioni particolari, come tagli alla spesa pubblica e le già citate riforme strutturali, ma sicuramente meno stringenti delle ECCL, che si applicano ai membri più indebitati. La riforma ha inasprito in parte le condizioni di accesso alle PCCL. Infatti, il Paese che voglia richiederne dovrà rispettare le seguenti condizioni: non essere in procedura di infrazione, osservare il rispetto del PSC da almeno due anni, che è stato sospeso in questa fase pandemica, e il rapporto tra debito pubblico e PIL non dove superare il 60%. Tuttavia, la riforma non si ferma qua. Uno dei principali obiettivi del MES riformato è quello di divenire un momento fondamentale per la ristrutturazione del debito, quindi c’è un passaggio da compiere prima dell’intervento del Meccanismo: una decurtazione del valore dei titoli di Stato del membro che richiede l’accesso. Il motivo di tale previsione risiede nella seguente logica: chi acquista titoli di un Paese non in ordine con i conti pubblici lo fa perché attratto dalla prospettiva di un guadagno in termini di interessi, rispetto a quanto offerto da Paesi con conti pubblici solidi; chi agisce in questa maniera lo fa per fini di lucro con tutti i pericoli annessi a tale operazione. Dunque, la logica impone che la decurtazione andrebbe proprio a colpire i soggetti che hanno posto in essere tali azioni. Così, l’intervento del MES, se richiesto, arriverebbe solo dopo questo passaggio. Infine, nel testo finale della riforma è stata prevista un’analisi della sostenibilità del debito, cioè della capacità da parte dello Stato membro di ripagare quanto dovuto, prima di avviare effettivamente la ristrutturazione. La verifica è condotta sia dalla Commissione europea che dal MES con alcune differenze: il Meccanismo di Stabilità, organizzazione di stampo intergovernativo, analizzerà la capacità del Paese di ripagare il prestito dell’organizzazione, mentre la Commissione, l’istituzione UE squisitamente sovranazionale, verificherà le capacità del Paese richiedente in rapporto agli interessi dell’intera Unione. Naturalmente, qualora la verifica confermi l’impossibilità di sostenere il debito, lo Stato richiedente non potrà accedere ai fondi del MES.
Il MES sanitario. Il discorso riguardo il cosiddetto Fondo salva-Stati è tornato in auge con l’arrivo della pandemia. Come si sa, lo scorso aprile, mentre la prima ondata del Covid-19 metteva in ginocchio l’Europa, in una riunione dei ministri delle finanze dell’Eurozona era stato riproposto tra le varie soluzioni proprio il ricorso al MES. Diversi Paesi, specialmente del Sud Europa, rifiutarono da subito il Meccanismo come uno strumento adeguato, specialmente per le condizionalità vincolanti. Così, si è optato per una rimodulazione temporanea dello stesso MES, mediando tra le varie posizioni del Nord e del Sud. Il risultato è stata la previsione di 240 miliardi di euro, sui 400 a disposizione del Fondo, con tassi molto ridotti e a lunga scadenza per i Paesi più colpiti, ripartito secondo un rapporto che non superi il 2% del PIL nazionale. Le condizionalità in questo caso sono fatte completamente cadere, eccezion fatta per il vincolo di utilizzare i fondi per spese sanitarie dirette e indirette. Con l’approvazione del Recovery Fund la discussione sul MES è un po’ sfumata, tanto che nessun Paese lo ha ancora attivato.
Utilizzarlo o no? Non possiamo dare la risposta, ma possiamo comunque delineare elementi importanti in merito. Il MES rappresenta un’iniziativa di solidarietà volta a mantenere la stabilità finanziaria ed economica del continente. Uno strumento comune per dare solidità al sistema bancario europeo e proteggerlo per quanto possibile da altre crisi, che probabilmente arriveranno a causa della pandemia. Il MES è pur sempre un’ancora europea di sostegno utile e sicura rispetto ai mercati. Il problema in realtà non è il Fondo in sé, ma la ristrutturazione dei debiti sovrani, un problema che riguarda da vicino l’Italia. Possono essere istituiti i fondi più disparati e con le condizionalità più convenienti, ma sarà sempre poco utile se non si pone un’azione politico-strategica con una visione di lungo per risolvere il nodo del debito. Tuttavia, per questo problema, come per il dilemma sull’utilizzo o meno del MES, solo la politica può dare delle risposte e si spera possa dare delle soluzioni vere.