Smart working sì o no? Per la situazione attuale sembra ormai essere l’unica soluzione e se, da un lato, è stata la modalità che ha permesso a molte aziende di restare sul mercato, è anche vero che questo avviene con diversi rischi per i dipendenti (ma anche i freelance), spesso trascurati. E visto che quando l’emergenza sanitaria finalmente sarà rientrata, lo smart working entrerà a pieno titolo nelle aziende e farà parte di una modalità ibrida sempre più praticata – in presenza e da remoto – cerchiamo di capire quali sono le sue criticità.
Ad analizzare il tutto è stato l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano che ha approfondito il punto di vista di circa 8600 lavoratori durante la fase 1 dell’emergenza Covid-19 mettendo in evidenza le azioni messe in campo dalle organizzazioni, l’impatto dello smart working sulla continuità di business ma anche gli effetti sulle performance.
Ansia, paura, stati di allarme ma anche mancata qualità del sonno. Tra gli aspetti negativi che il report mette in evidenza ci sono sicuramente le reazioni personali: se da un lato lo smart working ha permesso di proseguire il lavoro, è vero che questo è stato contrassegnato da sensazioni di ansia, paura e stati di allarme derivanti dalla percezione di una situazione di forte rischio e incertezze.
Le persone hanno dovuto adeguarsi in fretta a quanto stava succedendo, a volte senza neanche il giusto supporto tecnologico, com’era già emerso nel convegno sullo smart working. E questo ha comportato diverse situazioni di stress, tant’è che come abbiamo avuto modo di raccontare parlando della società di consulenza psicologica online Mindwork, molte aziende offrono ai loro dipendenti un sostegno per preservare la salute mentale dei lavoratori.
Senso di isolamento in particolare tra i Millennials. Tra le criticità è poi emerso che la maggior parte degli intervistati sente forse il senso di isolamento e di impotenza (a dirlo il 55% di chi ha partecipato al sondaggio). Prevalgono poi il senso di sconforto, l’ansia, la paura, la frustrazione e l’irritabilità. Quanto al senso di isolamento, viene fuori che a provarlo sono in particolare i Millennials, ossia chi ha un’età tra i 25 e i 39 anni. E questo, stando a quanto asserisce il Politecnico, può essere dovuto al fatto che si tratta di giovani adulti che rispetto alle altre generazioni come la X – tra i 40 e 54 anni – o i Baby Boomers (sopra i 55) vivono da soli, senza genitori, partner ecc…
A questo si è anche aggiunto il senso di isolamento provato verso l’organizzazione che ha riguardato sia l’azienda stessa che i team di lavoro, anche se con questi ultimi sono aumentati contatti e interazioni. E questo è sicuramente un dato positivo perché ha permesso di lavorare in continuità mantenendo alto il senso di appartenenza oltre che lo scambio.
La ricerca di Ires Toscana sulle lavoratrici. Una ricerca più recente che, però, conferma quanto detto finora è quella presentata il 10 dicembre dal titolo “Lavorare da casa durante la pandemia. Donne e smart working in Toscana. Uno sguardo in soggettiva”. A realizzarla la ricercatrice Sandra Burchi per Ires Toscana, centro studi della Cgil regionale e anche se sembra molto “verticale”, fa emergere molti aspetti che vanno al di fuori dei confini regionali. Tra questi, per esempio, il fatto che al primo posto c’è la perdita di socialità.
Così come il fatto che l’uso del tempo sia moltiplicato e accelerato. Dice infatti una delle lavoratrici intervistate: “Il pc è sempre collegato e la testa pure. Quello che ho mal sopportato era la questione dei tempi, per quanto organizzata e produttiva: io ho mangiato con la video conferenza sul tavolino, finiva il tuo tempo teorico però continuavi, lavori e fai, il tempo di lavoro è dilatato e sovrapposto, nessun tempo per sé”.
La mancanza del tempo per sè stessi. Aggiunge un’altra:“Alla fine della giornata ti sembra di non aver più tempo per te, e ti senti meno libero. C’è un tempo fuori dal lavoro che viene a mancare. E per le donne è un casino”. Non solo: “Se mi veniva qualcosa in mente dopo cena, lo facevo subito per paura di dimenticarlo. Quindi poi alla fine ci sono stati dei momenti eccessivamente fuori orario”.
Inoltre, anche il tempo del viaggio da casa all’ufficio e viceversa che da un lato è guadagnato, dall’altro è perso. Come dice un’altra lavoratrice: “Non ci sono momenti di compensazione. Non c’è un tragitto in cui fai altro. Io ho viaggiato 24 anni in tutta la provincia ma quello era un tempo per me, ascoltavo la radio, pensavo, mi piaceva”.
Ma non solo: manca l’ambiente di lavoro tour court. “Abbiamo lavorato tanti anni a sistemare gli spazi della scuola per organizzare una comunità che apprende” dice un’insegnante “e poi alla fine abbiamo acceso i computer e preteso che una voce da uno schermo potesse far apprendere o insegnare qualcosa”.