Intima nei suoi pochi ed essenziali accordi, quel tocco gentile sui tasti del pianoforte, delicati come parole sussurrate all’orecchio di quel sentimento ferito e confuso che abita il nostro inconscio. Colonna sonora di un film, lei, che nel suo testo è già sceneggiatura perfetta e poetica che descrive la fragilità dei rapporti affettivi e l’equilibrio sempre precario del nostro “sentire”.
“Un giorno capirai, che non c’era niente da cambiare, non c’era niente da rifare, bastava solo aver pazienza ed aspettare che le cose… che ogni cosa, si aggiustasse da sé”, la ricerca della calma e la gestione tormentata di quel tempo lento, come sabbia nella clessidra dei sentimenti che scorre piano nel suo spazio più stretto tra il vuoto e la pienezza.
Quella voce graffiata come quel dolore che tieni a guinzaglio nei “tuoi alibi di ferro, arrugginiti dalle lacrime di questo stronzo innamorato di te, che ha scritto pure una canzone, forse nutrendo l’illusione, che nei tuoi occhi ci sia quello che non c’è”. La resa dopo l’abbandono. Il prendere atto di ciò che non riusciamo a trattenere e che dobbiamo lasciare andare, per salvare la parte buona dei ricordi che ancora ci tiene fermi, inchiodati davanti all’uscio di quella porta che non riusciamo a chiudere. Quello spazio aperto che è solo un ponte tra ciò che eravamo e ciò che dovremo diventare per non farsi vittime in catene di quel senso di colpa che a volte riesce a prendersi tutto di noi.
Collezionista contemporaneo di fallimenti che ancora non riesce a guardare con occhi sinceri, la bellezza che ha dentro. Che se la prende con “questo cuore di buffone, servo di un solo padrone, un padrone mai contento di niente” e scava a quattro mani nella sua rabbia, come fosse alla ricerca di un tesoro seppellito nel profondo e che attende di trovare e di abbracciare, come un uomo o un padre premuroso, il suo bambino.
Diventa grande nel suo cadere e rialzarsi di continuo, lividi che ormai non vede più e che restano sotto la pelle, mentre tutto si anestetizza nel vivere quotidiano. Ma la passione quella no, “basta un attimo, un errore di distrazione”, che trasforma un casuale incrocio di sguardi, in una macchina del tempo che si fa subito orgasmo e poi scappa via.
E ci risiamo, ancora una volta ed è subito disamina di quel sentimento o “di questo cuore sempre attento a non fare un passo falso, a non esser mai convinto di niente. E’ solo un attimo, lo giuro, una lieve indecisione…un errore di distrazione” e te lo ripeti ancora e ancora, come a convincerti che in quell’amore che Bauman definiva come “amore liquido”, tu torni ad essere libero, come una barca a vela in mezzo al mare che attende un nuovo vento che spieghi le vele e che sia motore naturale per intraprendere un nuovo viaggio.
“Un errore di distrazione” è stato uno dei brani di Brunori Sas candidato al David Di Donatello come miglior canzone originale. In realtà, il suo testo disegna perfettamente delle immagini: pellicola fedele al film che ognuno proietta dentro di sé.