Formarsi sul campo. Sfruttare l’eccellenza delle imprese Made in Italy per fare ricerca. Instaurare una nuova sinergia tra università e industria e, soprattutto, guardare a un giovane dottorato non solo come a uno studente, ma anche come a un dipendente. Questo è l’obiettivo dei dottorati industriali, la risposta italiana ai Phd anglosassoni, per evitare ulteriori ‘fughe di cervelli’, per stimolare le aziende con personale altamente formato e anche per aumentare l’offerta formativa sulla base delle reali esigenze del mercato.
Iter legislativo – L’iter per la definizione del dottorato industriale, tra le vere novità dell’anno accademico 2013-2014, non è stato semplice. Pensata per favorire l’innovazione delle Pmi e l’occupazione dei giovani, la definizione del dottorato industriale ha mosso i primi passi con la legge Biagi del 2003 sull’alta formazione, poi con la riforma Gelmini e infine con il ministro dell’istruzione Profumo e il recente decreto ministeriale (il n. 45/2013).
Chi – L’ateneo resta – come si legge da decreto attuativo – “sede amministrativa” e unico titolare del “rilascio del titolo accademico”. Le prime ad attivarsi per queste nuove ‘borse di dottorato’ sono state le università di Bologna, Padova, Napoli e i Politecnici di Milano e Torino. Questo anche perché le facoltà di scienze applicate, come per esempio ingegneria, si coniugano molto bene con la nuova formula di collaborazione università-impresa.
Perché – In passato, il dottorato aveva un unico sbocco lavorativo: la carriera accademica. Una carriera spesso piena di precariato e sbarramenti. I dati parlano chiaro: ogni anno circa 12mila giovani entrano nel ciclo del dottorato, ma solo uno su quattro, alla luce anche dei pochi fondi degli atenei, viene assorbito nelle carriere accademiche. Questo significa che circa il 75% dei dottori in ricerca rischia di disperdersi: uno spreco enorme, come ha sottolineato più volte anche Confindustria, soprattutto se si considera la fame di innovazione che colpisce le imprese del Paese.
In questo modo, infatti, da un lato le aziende potranno approfittare dell’occasione per incrementare il proprio tasso d’innovazione e, dall’altro lato, i giovani ricercatori potranno iniziare a instaurare un contatto con il mondo del lavoro ‘extra-accademico’, maturando nel contempo esperienza sul campo senza essere costretti a doversi allontanare dall’Italia.
Il dottorato – L’ammissione avviene secondo una selezione pubblica che deve concludersi entro il 30 settembre di ciascun anno. Al termine dei tre anni, il titolo di dottore di ricerca verrà rilasciato dopo la valutazione della tesi, che deve essere accompagnata da un sintesi redatta sia in italiano sia in inglese.
Esempi all’estero – Accade così già in Danimarca, Francia e Germania. Questa forma di collaborazione mondo accademico-azienda è da quarant’anni sperimentata in tutta l’Ue. La Commissione Europea nei ‘Principles for Innovative Doctoral Training’ del giugno 2011, definisce il dottorato una modalità di avanzamento della conoscenza attraverso ricerca originale, non più limitata al mondo accademico, ma finalizzata a rispondere ai fabbisogni del mercato del lavoro. Il termine “industriale” include quindi tutti i settori del mercato del lavoro privato e pubblico, imprese, istituzioni pubbliche, ong e istituzioni di tipo caritatevole o culturale.
Dubbi e perplessità – A problematizzare la situazione italiana, Martina Ori e Michele Tiraboschi, del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi” Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
“Un dottorato industriale – scrivono in un recente articolo pubblicato sul web -, per funzionare, deve essere aperto al mercato e consentire un reale protagonismo delle imprese. Dando per scontato che solo l’università è il soggetto abilitato al rilascio del titolo, tutte le fasi di selezione, reclutamento e formazione dei candidati sono dettate a immagine e somiglianza del mondo accademico, con logiche di governance che non ammettono, se non in posizione subalterna, il coinvolgimento delle imprese”. Insomma dicono: per funzionare, essere cioè d’aiuto alle aziende per innovarsi e d’aiuto agli studenti per trovare lavoro, i dottorati industriali devono guardare al reale mercato del lavoro, devono far selezione anche tra le competenze oltre che alle qualifiche e soprattutto non devono ‘perdersi’ nella lenta burocrazia italiana. Speriamo di farcela.
Per saperne di più – www.researchitaly.it/dottorato