Siete disoccupati e state pensando di farvi un tatuaggio? Sul piatto della bilancia vi conviene mettere anche una recente ricerca britannica, secondo cui i responsabili delle risorse umane delle aziende riterrebbero ancora sconveniente per le compagnie e multinazionali assumere personale con tatuaggi. Un’esagerazione? Non proprio. A chiarirci le idee anche Donatella Lorato, di professione ‘etiquette coach’.
I dati – Lo studio, condotto da Andrew Timming, dell’Università di St. Andrews, in Scozia, sostiene che il tatuaggio riduce le chance di trovare lavoro. I risultati, presentati al ‘British Sociological Association conference on work, employment and society’ di Warwick, nel Regno Unito, raccontano le reazioni e i commenti di 14 direttori del personale di età compresa tra i 30 e i 60 anni, responsabili delle assunzioni presso diverse società, tra cui alberghi, librerie, banche, enti pubblici, università e persino carceri.
Gli intervistati hanno giudicato i tattoo di un potenziale candidato a lavorare nella loro azienda come ‘inaccettabili’, specialmente quelli raffiguranti immagini considerate offensive o forti come teschi e ragnatele. Meglio l’opinione su i disegni a tema floreale. Ma perché?
I motivi – “I tatuaggi identificavano persone sporche o peggio ancora delinquenti, che se assunte possono trasmettere all’esterno un’immagine negativa dell’azienda”, hanno detto i ricercatori. Un dato che a noi può sembrare apparentemente anacronistico, eppure i disegni sulla pelle sono ancora considerati un tabù.
“Non è una questione generazionale – ci spiega Donatella Lorato, etiquette coach – . I tatuaggi sono osteggiati sia dai datori di lavoro più anziani sia dai più giovani. Semplicemente perché non è un fattore moda, ma rappresenta una scelta personale e privata che nell’ambito lavorativo è davvero sconsigliata. Culturalmente non è cambiato nulla rispetto a dieci anni fa: se nella vita privata possono anche piacere i tatuaggi, sul posto di lavoro sono considerati di cattivo gusto”.
Il colloquio di lavoro – La ricerca ha stabilito anche che i tatuaggi stessi sono stati l’argomento principale di ‘chiacchiera’ tra i selezionatori nel dopo colloquio con il candidato. “Gli intervistati – ha detto Timming – hanno espresso la preoccupazione che i lavoratori visibilmente tatuati possono essere percepiti dai clienti come aberranti, ripugnanti, sgradevoli e disordinati. Si è ipotizzato che i clienti potrebbero proiettare un’esperienza di servizio negativa sulla base di stereotipi che le persone tatuate sono teppisti e drogati”.
Il precedente – La maggior parte degli intervistati dal professore, concordava quindi che i tatuaggi visibili sono un ‘marchio d’identificazione’. “Non importa quello che le singole persone pensano dei tatuaggi – continua Timming – ciò che conta davvero è come i clienti possano percepire i dipendenti con tatuaggi visibili”. Non è un caso che, a quanto riferisce la Bbc, la polizia inglese ha vietato al personale di avere tatuaggi visibili. Un commissario londinese, interrogato sulla questione, ha commentato la notizia dicendo che “La body art non fa altro che danneggiare l’immagine professionale delle forze dell’ordine”. I dipendenti hanno riportato che è stato chiesto loro d’informare i superiori sui tatuaggi che hanno, pena pesanti sanzioni.
Curiosità – La ricerca riporta anche che, in certi ambienti, l’avere un tatuaggio diventa però un argomento di conversazione che aiuta dipendente e cliente a entrare in sintonia. Volete sapere chi era il manager intervistato che ha affermato questo? Il direttore di un carcere. Insomma, seconda questa ricerca, c’è ancora tanta strada da percorrere per superare alcuni cliché.
“Io intanto – conclude l’etiquette coach – consiglio di coprirli e nasconderli bene quando ci si presenta sul posto di lavoro”.