A meno di un mese dal referendum costituzionale, sebbene a fatica, iniziano a delinearsi in modo sempre più netto i confini politici dei due schieramenti avversari. Eppure, non mancano i ritardatari dell’ultimo minuto o chi, pur schierandosi per una posizione o per l’altra, sembra voler restare in penombra, senza troppo decantare la propria scelta. D’altronde quello che si terrà il prossimo 20 e 21 settembre sarà un voto dall’inevitabile significato politico, non solo per le sorti dell’attuale governo e del Movimento 5 Stelle – che ha fatto del taglio dei parlamentari uno dei suoi cavalli di battaglia –, ma anche per i futuri equilibri politici. È facile infatti immaginare come il taglio di un terzo dei parlamentari lascerà l’amaro in bocca a diversi attori politici. Sarà anche per questo che l’imminente referendum sta creando maretta anche all’interno degli stessi partiti, in primis tra i dem, rispetto ai quali la direzione del Pd, attesa per i prossimi giorni, dovrebbe chiarire una volta per tutte la posizione definitiva.
Il timido sì di Matteo Salvini. Ufficialmente è un sì quello della Lega di Matteo Salvini, partito che d’altronde votò a favore del taglio dei 325 parlamentari (tra Camera e Senato) in tutte quattro i step previsti dall’iter parlamentare. Eppure, ad oggi quell’entusiasmo sembra un ricordo lontano. Il primo a non sponsorizzare troppo il Sì sembra essere proprio Salvini: “La Lega vota sì anche se non siamo proprietari del cuore e dell’anima degli italiani che dovranno esprimersi sul referendum” ha detto il leader della Lega. Ma più che un voto convinto, le sue parole ricordano quelle di chi è costretto da una promessa passata: “La mia posizione è stata chiara in Parlamento – riporta Fanpage – ed è chiara al referendum, a differenza del Pd e di Renzi che hanno sempre votato contro. […] Non voglio fare la figura del Renzi o dello Zingaretti qualunque”.
Diversi i No a destra. A favore del Sì si è schierata da sempre anche Giorgia Meloni, che, con i suoi di FdI, ha sempre sostenuto il taglio dei parlamentari, e anche ora, che – come ha ricordato la stessa leader del partito – la vittoria del Sì potrebbe rappresentare un importante vittoria per il governo e soprattutto per i Cinque Stelle. Tutt’altro che compatta è invece la posizione di Forza Italia: a parte il sì di Maria Stella Gelmini, sono in tanti i forzisti ad essersi schierati nel comitato del No: dal senatore Renato Brunetta, ai deputati Deborah Bergamini e Simone Baldelli fino a Osvaldo Napoli, che dalla sua pagina Facebook ha così spiegato la propria posizione: “contro una riforma che rende ancora più bizantino e bislacco il bicameralismo e lo trasforma da perfetto in confuso e barocco”.
Indecisione (di nuovo) a sinistra. Sebbene i cambiamenti dell’ultima ora non siano una novità del modus operandi di Matteo Renzi, anche in questa occasione il voto del partito capitanato dall’ex premier potrebbe rappresentare l’ago della Bilancia. Intanto voci a lui vicine sembrerebbero far pensare ad un esito positivo: proprio in questi giorni Renzi ha avuto contatti con Luca Zingaretti e le sue più recenti dichiarazione sembrano aprire al referendum, dicendosi disponibile a discutere il testo base in Commissione. Ma per il momento, non c’è uno schieramento netto e la posizione ufficiale di Iv è ferma ad un ignavo “libertà di voto”.
La battaglia di Zingaretti per far sì che gli alleati di governo rispettino i patti presi intanto continua senza soste. Il leader dem ha d’altronde le idee piuttosto chiare: il Sì del Pd al taglio dei parlamentari in cambio dell’impegno da parte dei Cinque Stelle affinché partano i lavori di “una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze”. “Tutta la maggioranza ha sottoscritto questo accordo, ora faccio un appello a finché sia onorato” ha dichiarato Zingaretti dalle pagine del Corriere della Sera, un appello che Luigi Di Maio ha raccolto di buon grado, riaffermando la disponibilità del Movimento a votare la nuova legge prima del referendum. Cosa che sarebbe accaduta – ha ricordato il ministro degli Esteri – già a luglio, se Iv non avesse negato l’impegno preso alla nascita del governo, votando con il centrodestra il rinvio del voto.