Da un lato gli inviti alla ripresa, il “si ricomincia” che, come uno slogan, sembra campeggiare sulla comunicazione sia istituzionale che delle aziende private, dall’altro una cassa integrazione che viene prorogata per altre 18 settimane, bonus che tardano ad arrivare o altri sostegni al reddito che non si dimostrano essere così sufficienti. In mezzo a tutto questo ci sono i freelance che stanno vivendo, in questa estate 2020, post pandemia ma in cui il Coronavirus è ancora tra noi, una situazione davvero difficile e di cui si parla raramente.
Il dubbio amletico dei freelance: dire sì ai clienti o a se stessi. Ritmi forsennati, call a tutte le ore, clienti che, in nome della ripresa di cui parlavamo prima e per il fatto che in molti non andranno in ferie, sembrano dimenticare che luglio e soprattutto agosto dovrebbero essere mesi di riposo quasi per tutti e chiedono di iniziare nuovi progetti, di continuare le attività a pieno regime, di essere sempre presenti. Per i freelance, da sempre sono abituati allo smart working, il dubbio è davvero amletico: cercare di accontentare tutti alla luce del fatto che magari nel lockdown la mole di lavoro è diminuita o è stato posticipato il pagamento delle fatture o concedersi quei pochi giorni di riposo necessari per ricaricare le pile, essere più creativi, più efficaci e soprattutto assecondare un bisogno non solo fisico, ma anche mentale visto che la pandemia ci ha provato tutti? E farlo senza sensi di colpa?
Per capirne di più noi di KongNews abbiamo sentito quattro freelance con professionalità differenti: Cristina Simone, consulente di social media marketing e influencer marketing e formatrice, Raffaella Amoroso, Digital Marketing Specialist e formatrice, Luisa Fassino webmaster, Domenico Chiericozzi, content editor.
Siamo partiti con l’analizzare le difficoltà durante il lockdown e abbiamo cercato di capire anche come il freelance, che non ha uno stipendio fisso, sia riuscito a ovviare ai mesi più “bui” e come si stia comportando adesso.
“Per quanto mi riguarda”, ci dice Cristina Simone, “diversi progetti sono saltati, altri messi in stand-by in attesa di una normalità (?) che non si capiva quando fosse arrivata. Per molte attività avevo già partecipato alla progettazione e investito molto tempo personale che appunto non ho recuperato. Inoltre, un freelance deve sapersi sempre reinventare. Ho ovviato proponendo nuove modalità online per i progetti che lo consentivano e ho lavorato sullo sviluppo di miei progetti personali, legati alla sfera professionale; ho lavorato sull’accrescimento delle mie competenze partecipando a webinar; alla cura del mio personal branding e ho contribuito alle iniziative di solidarietà professionale e digitale erogando dei webinar gratuiti di formazione”.
La situazione è stata ed è ancora più complicata quando si hanno dei figli. Ci racconta Raffaella: “La difficoltà maggiore è legata alla gestione della famiglia, del tempo personale, del tempo del lavoro che si sono uniti in tutt’uno avendo una bimba piccola che ha iniziato la quarantena a 5 mesi. Sia io che il mio compagno lavoriamo full time e non abbiamo avuto aiuti di nessun genere durante il giorno. Però devo dire che non ho subito flessioni nel lavoro, anzi, ma abbiamo dovuto capire come gestire la situazione al meglio”.
Le fa eco Luisa Fassino: “L’organizzazione della casa è stata difficile e mi sono ritrovata a lavorare anche fino a 12 ore al giorno. Ho sempre lavorato tanto, ma a causa della destabilizzazione iniziale e del fatto che non si sapesse quanto tutto sarebbe finito, ho rimandato alcune cose che poi si sono accavallate ad altre. La pianificazione è stata e continua a essere complessa.
Per Domenico che è un nomad worker e che quando sentiamo è a Rimini, ma pronto a trasferirsi in Sardegna da settembre, inizialmente ci sono stati problemi per le modalità di comunicazione: “Con i miei clienti sono sempre stato abituato all’incontro di persona pertanto tutti coloro che non avevano mai usato strumenti come la videochiamata, Skype ecc., hanno avuto difficoltà a utilizzarli. Sia io che loro ci siamo abituati a usare queste modalità”.
E gli aiuti da parte dello Stato sono stati efficaci oppure no? “Li ho apprezzati ma non sono stati sufficienti”, precisa Cristina. “Per un freelance 600 euro per uno o due mesi è una cifra molto bassa, almeno per chi ha già l’attività avviata da anni come me. Se pensi che hai tutta una gestione della vita personale e professionale da mandare avanti: affitto, spesa, ecc; e contemporaneamente hai delle spese fisse legate al lavoro come abbonamenti a strumenti, bollette varie, ecc.. non servono a molto”.
“A me sono serviti per tamponare un buco di liquidità avuto per il primo mese di lockdown”, aggiunge Raffaella “perché ho perso due clienti quindi utili per pagarmi i contributi arretrati. Come dicevo, il lavoro si è incrementato successivamente, ma inizialmente avevo perso il giro di fatture in entrata”. Gli aiuti sono stati importanti anche per Luisa, sebbene come webmaster “faccio parte di una categoria che non è stata bloccata dal lockdown, ma mi hanno aiutato ad avere un’entrata quando io, seppur lavorando, ricevevo i pagamenti in ritardo”.
E come reagisce un freelance a questa richiesta forsennata di lavoro, in un periodo che normalmente prevede una maggiore calma? Riesce a gestire il riposo o meno?
Per Cristina Simone, la difficoltà maggiore è la stanchezza fisica e mentale: “In questo periodo dell’anno ero abituata a un carico di lavoro minore e a non prendere nuovi progetti. Quest’anno invece ho agito diversamente, visto il calo dei mesi precedenti e l’incertezza dei mesi futuri”. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Luisa Fassino: “In questo periodo cerco di darmi degli stop, ma faccio molta fatica. Da un lato la paura e la preoccupazione di restare sempre più indietro quindi la necessità di non fermarmi e dall’altro sento il bisogno di ricaricare le pile. Oltre a cercare di fare quadrare le cose. Allo stesso tempo anche attività banali come fare la spesa o andare a fare una gita avendone la possibilità richiede fatica,e chissà se più fatica del beneficio stesso di staccare…”.
La voglia di ripresa per Raffaella è vista anche in ottica positiva: “Ci sono tante richieste di preventivi e progetti pre-pausa estiva che sono sicura che non si tradurranno in niente di fatto o partiranno non prima di settembre. E questo da un lato mi rende contenta perché significa che c’è voglia di progettualità e continuare ad avere delle richieste, vedere che c’è una luce in fondo al tunnel e avere l’idea che a settembre qualcosa da fare ci sarà, non è affatto scontato. Di mio, poi mi sto organizzando al meglio per fare 2 settimane di ferie quindi sto impiegando tutti i giorni che le precedono per organizzare il lavoro per essere libera in quel periodo e accontentare comunque le esigenze del cliente”.
Per Domenico, invece, questa estate non cambierà di molto le cose: “Durante i mesi estivi rallento sempre tantissimo il lavoro perché per me fare le pause è fondamentale. Rendermi irreperibile per i clienti – a meno di urgenze reali che con il mio lavoro sono rare – è una scelta che faccio e di cui ho bisogno. Posso dire che non ho proprio lavorato come un forsennato, ma più che altro che ho avuto dei ritmi forsennati perché ho voluto conciliare il lavoro con la formazione (ho studiato tanto in questo periodo) e ne ho approfittato anche per rifarmi il sito, cosa che rimandavo da tempo”.
Com’è cambiato e sta cambiando il rapporto con i clienti e in generale il lavoro del freelance? “Per me non molto: chi prima ti chiamava o scriveva ovunque e a ogni ora del giorno e della sera lo fa anche adesso” asserisce Cristina. “Come formatrice, invece, il cambio è stato netto: tutta la formazione si è spostata online, da subito. È una modalità che avevo già sperimentato e che svolgevo anche se in misura ridotta. Ora, però, è il 100% della formazione. La mia ultima formazione in aula è stata nella terza settimana di febbraio. In questi mesi di formazione online, ho imparato tanto anche io. Ho trovato e sviluppato nuove modalità per mantenere l’interazione nonostante l’aula sia virtuale”.
Anche per Raffaella non è cambiato tantissimo, ma è anche vero che “Le persone con cui ho a che fare e che si sono trovate in smart working all’inizio hanno agito un po’ da “folli” e questo probabilmente perché il lavoro è stato anche considerato una sorta di rifugio. Ora ci si sta abituando sempre di più allo smart working, si sta cominciando a capire come funziona, ma come ogni cambiamento ci vuole tempo. Per la formazione, invece c’è molta più richiesta di docenze e questo è dovuto al fatto che molta gente avesse e abbia più tempo libero per dedicarcisi così come gli enti stanno cercando di creare dei contenuti che possano incontrare le esigenze di queste persone”.
Lo smart working dei clienti ha avuto effetti anche su Luisa che ammette: “I clienti hanno più tempo di prima pertanto chiamano e scrivono sempre, già in passato avevo provato a educarli, ora agisco in questo modo: nel weekend non rispondo né alle mail né al telefono, a meno che non ci sia un’urgenza vera, e quando li sento cerco di programmare le chiamate e se chiamano fuori orario non rispondo”.
Il concetto di “educazione” è prezioso anche per Domenico, sebbene anche lui, all’inizio del lockdown si trovasse a lavorare con un cliente che chiamava di continuo, ma con il quale poi è riuscito a creare un ritmo, come fa con tutti i clienti. “Cerco di bilanciare il lavoro con loro: li sento tramite lunghe chiacchierate e focus approfonditi per poi dedicare le successive due settimane al lavoro pratico, senza loro ingerenze. In questo modus operandi sicuramente mi ha aiutato l’essere un educatore cinofilo e pertanto essere abituato a creare degli stop ben precisi. Anche la relazione va disciplinata. Ho notato però una cosa positiva: la pandemia ha aumentato il confronto con i clienti che sono sempre più interessati a strumenti che possono usare, a obiettivi di comunicazione ecc… quando, invece, prima erano titubanti. È aumentata la consapevolezza della presenza online e dell’esserci al meglio e questo per noi freelance è un gran bene”.