Raffaele, 31 anni, una laurea magistrale in Psicologia delle Organizzazioni e dei Comportamenti di Consumo, parte per la Nuova Zelanda lo scorso dicembre: una valigia volutamente di dimensioni contenute e una gran voglia di andarsene dall’Italia.
“Mi ricordo il giorno in cui ho detto a mia madre che sarei partito. Lei mi ha inizialmente assecondato con un ‘ah ok’ dato che era l’ennesima volta che se lo sentiva dire. Poi le ho detto che avevo comprato il biglietto, e la sua espressione sul volto è improvvisamente cambiata”.
La decisione matura in Raffaele, come ci racconta, dopo un’estenuante quanto vana ricerca di lavoro in Italia: “centinaia di curricula mandati invano, posta elettronica intasata di proposte di lavori non pagati, colloqui come psicologo in cui mi offrivano stage ‘pagati’ 220 euro e neanche ticket pasto incluso”. Riesce alla fine a trovare un posto part-time come operatore in un call-center. Ci resta 6 mesi ma con poca soddisfazione. L’unico lato positivo che riesce a trovare, ci dice, è stato che proprio quell’esperienza lo ha portato a decidere definitivamente che era giunto il momento di partire.
Il bello della Nuova Zelanda – Dopo qualche ricerca Raffaele opta per la Nuova Zelanda; le motivazioni sono presto spiegate: è vicina all’Australia, paese in cui, come racconteremo, ha già trascorso sei mesi un anno prima, non è un Paese colpito dalla crisi economica, ha una qualità di vita tra le più alte al mondo e, per non farsi mancare niente, c’è il mare. Da un punto di vista burocratico, “con un contratto lavorativo della durata di qualche anno” ci spiega Raffaele, “è possibile ottenere la ‘sponsorship’, un Visto Lavorativo, con il quale si può richiedere la residenza”.
Credo che tu sia abbastanza pazzo per lavorare qui – Sceglie quindi la meta, la Nuova Zelanda, lascia Trezzo sull’Adda (Mi), il paese dove abitava, e parte, alla ricerca di una nuova vita e di un lavoro che possa mantenerlo. Arrivato a destinazione la fortuna gira dalla sua parte: trova subito lavoro in un pub di Auckland, “The Golden Dawn”. “Lo definirei un amabile buco, tenuto con gran stile. Alla fine del colloquio di lavoro – tanto per inquadrare l’ambiente – mi è stato detto: ‘credo tu sia sufficientemente pazzo per lavorare qui’. Atmosfera alternativa, spesso bazzicato da sconosciutissimi VIPs, musica live con gruppetti mai sentiti; però abbiamo vinto qualche mese fa un NZ Award come Outstanding Wine List! Il mio capo Nick è alquanto un personaggio, ma ci sa fare. Per sua scelta il locale non ha un’insegna all’esterno e se vai sul sito, nella sezione ‘come arrivare’ trovi la scritta ‘If you cannot find us, we are not there’. Un sabato sera è addirittura entrato un vero cowboy a cavallo..nel locale!”
Una spremuta di pompelmo il tramonto su Mount Eden – Le sue giornate sono divise tra quelle in cui lavora nel pub, solo 4 giorni a settimana, ma turni di anche 13 ore di fila!, e quelli completamente liberi in cui si gode i ritmi piacevoli della Nuova Zelanda: “Quando lavoro siamo come una famiglia dove tutti fanno tutto e nessuno è il preferito di mamma. Beviamo e mangiamo gratis e spesso dopo i turni si resta sempre per una birretta finale tutti insieme. Non è il lavoro per cui ho studiato, ma non sono mai stato così felice e rilassato quando devo alzarmi la mattina, per me questo è vitale”. Per quanto riguarda gli altri tre giorni invece, “mi sveglio tra le 10 e l’1. Metto sul fuoco il primo caffè rigorosamente italiano e rigorosamente con la moka italiana. Vado in giardino e raccolgo il pompelmo più bello dell’albero. Faccio una spremuta aggiungendo qualche fogliolina di menta del giardino, ci abbino pane e nutella e tanta frutta. Controllo la posta e guardo Mentana al TgLa7 delle 20.00. Doccia. Poi qualche chiacchiera con i coinquilini, ripulita alla stanza, lavatrice, spesa, passo a trovare gli amici o passano loro. Molte volte vado a vedere il tramonto su Mount Eden, che è il vulcano dietro casa. La sera spesso film con il proiettore a casa mia con una girlfriend oppure a bere una birra sul divano in terrazzo e spettegolare con amici”.
Dannate aspettative! – Quando gli chiediamo se sente il suo nuovo lavoro in linea con le sue aspettative, Raffaele ci racconta qualcosa di più su come ha deciso di vivere la sua vita, oltre che il suo lavoro: “Le aspettative, dannate aspettative! Sono sempre state quelle cose che mi hanno fregato. Sto imparando a vivere senza aspettative, ma cercando di capire quello che veramente mi fa stare bene. Ora ho una bella vita, in cui ogni singolo successo dipende da me, ho un lavoro che mi fa essere indipendente e guadagnare a sufficienza per essere felice, ho buoni amici, vivo in un posto di mare e ho spremute di buonissimi pompelmi che raccolgo dall’albero ogni mattina. I miei colleghi e il mio capo mi amano, sono trattato benissimo. Ho ambizioni e sogni più che aspettative. Vorrei avere un lavoro e una vita che mi faccia stare bene ogni giorno, vorrei inventare un liquore a base di pompelmo, imbottigliarlo e produrlo in larga scale, vorrei in vecchiaia vivere in un antico mulino ad acqua ristrutturato in Toscana, macinare la mia farina e fare il mio pane. Aspettarsi qualcosa significa avere un’idea il più possibile realistica di quello che potrà essere il tuo futuro. Bè, lascio le aspettative a quelli più bravi di me.
Partire non è per tutti – Non sono però solo fiori, qualche momento difficile Raffale ce l’ha. “Partire non è per tutti”, ci dice “se non ne senti l’esigenza, è probabilmente la cosa più sbagliata da fare”. E ci spiega perché: continui sbalzi emotivi, mancanze affettive e altalene motivazionali. Ma il compromesso, per quanto lo riguarda, regge: “Sono partito non pensando alla carriera, ma pensando a ciò che mi fa stare bene nella vita. Non sono mai stato una persona orientata alla carriera. Dovessi scegliere tra avere una buona vita o un buon lavoro non avrei dubbi e sceglierei una buona vita. C’è chi riesce ad avere un buon lavoro e una buona vita allo stesso tempo, ma devi veramente saperci fare ed essere fortunato”.
Gli alti e bassi quindi ci sono, però, secondo l’esperienza di Raffaele, “dopo i primi due mesi di ambientamento inizia comunque la discesa: “cominci ad avere una routine, incontri al supermercato gente che conosci e capisci che non sei un semplice viaggiatore, ma hai una nuova vita”. Ma gli imprevisti non mancano mai: “Ho avuto una colica renale. Dato che avevo un’assicurazione medica per 3 mesi, che poi è scaduta, la colica renale ha pensato bene di manifestarsi quando io avevo deciso di non rinnovare l’assicurazione. Mi è costato 800 dollari per parlare dieci minuti con la dottoressa, avere un’ecografia e dei fantastici antidolorifici. Fate l’assicurazione sanitaria se volete partire!”
A proposito dell’Australia – Come abbiamo accennato, questa non è la prima esperienza di vita all’estero di Raffaele: prima della Nuova Zelanda Raffaele ha vissuto nel 2011 in Australia. Conclusa l’esperienza lavorativa post-laurea nell’ambito della prevenzione dei disturbi da stress lavoro-correlati, sente infatti l’urgenza di fare esperienze di vita, più che di pianificare la sua carriera da psicologo in condizioni che, come ci ha detto, vedeva assolutamente precarie. “Ho pensato più che altro: ‘Perchè no?’. Non avevo un lavoro, neanche una fidanzata, una routine sociale monotona e noia perenne. La famiglia e gli amici c’erano e ci sono ancora, ma credo che entrambi mi preferiscano felice”. Vive l’Australia cambiando città e lavoro quasi ogni mese: aiuto cuoco, cameriere, lavapiatti, magazziniere, raccolta frutta; per un solo giorno viene ingaggiato per dipingere un edificio ad Adelaide: “un lavoro per 4 ore. Tanto sole, tinta colore asfalto tra i capelli, un duello epico con idropulitrici tra me e il mio collega. Credo siano stati i 100 dollari più divertenti mai guadagnati”.
“Niente è perfetto in questo viaggio, ma tutto è particolare” – Arrivato alla sua seconda partenza con “biglietto di sola andata” Raffaele ha imparato molte cose su cosa significhi viaggiare: “Quando sono andato in l’Australia con me è partito Mec, un ragazzo che avevo conosciuto qualche mese prima, un conoscente più che un amico. Pensavamo che le cose sarebbero andate in una certa direzione avevamo molteplici progetti a breve o lunga scadenza. Ti basta poco per sentire sulla pelle che le cose non stanno così, che noi non sapevamo proprio nulla, che viaggiare non è pianificare, che i paesaggi si guardano e non si fotografano, che le cose migliori accadono nei momenti più impensabili, che il tempo procede alla doppia velocità e un giorno vale almeno 3 giorni di vita.
Voglio citare una frase di Mec, che è ora un fratello più che un amico. E’ esattamente quello che provo in questo momento, l’esatta essenza di tutto quello che ti serve prima di prendere in mano una valigia: “Niente è perfetto in questo viaggio, ma tutto è particolare, speciale, e questo è ciò che importa.”