A distanza di due settimane dal raggiungimento dell’accordo sul Recovery Fund, si continua a discutere sul risultato ottenuto in sede di trattative dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. A tal proposito abbiamo intervistato Pierpaolo Bombardieri, Segretario generale della Uil per capire il suo punto di vista in tema di Recovery Fund.
Un piano da 209 miliardi all’Italia di cui 81,4 arriveranno come trasferimenti diretti e 127 come prestiti. Un accordo dalle trattative epocali che ha attirato consensi e critiche. Qual è la sua posizione a riguardo? Come giudica l’accordo raggiunto dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte a Bruxelles? L’accordo raggiunto a Bruxelles sul Recovery Fund, dopo un lungo confronto, è un passo importante per il futuro dell’Europa. Dopo anni in cui si è praticata solo l’austerità, le ingenti risorse destinate a ricostruire l’economia europea, prostrata dalla crisi pandemica, rappresentano una svolta significativa. Ora l’Italia deve cogliere questa straordinaria opportunità. Occorre un vero e proprio patto per il Paese tra tutti i soggetti politici e sociali. Le risorse andranno utilizzate per costruire un Paese più equo, ridisegnare un nuovo modello di sviluppo e garantire il futuro delle nuove generazioni.
Qual è il ruolo che la Confederazione Europea dei Sindacati ha avuto nel raggiungimento di questo importante risultato? La Ces ha inviato un documento alla Commissione e al Consiglio europeo indicando le priorità per il Sindacato europeo e ha chiesto di essere coinvolta in tutte le fasi di elaborazione e di implementazione del piano europeo. La Uil sostiene e condivide questa strategia, anche partecipando ai gruppi di lavoro istituiti dalla Ces il cui ruolo, quindi, in questa partita è stato e sarà fondamentale.
Quali sono i pro e i contro di questo ‘piano di rilancio’ per l’Italia? Se la partita sarà gestita in modo efficace, dovrebbero esserci solo vantaggi per il nostro Paese. Cgil, Cisl, Uil hanno avviato una mobilitazione per sostenere le proprie proposte, circa l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund e la conseguente connotazione del piano di rilancio. Abbiamo già fatto una manifestazione di piazza lo scorso 29 luglio e un’altra l’abbiamo programmata per il prossimo 18 settembre. È stata anche definita una piattaforma molto sintetica, con le nostre rivendicazioni. I punti su cui si fonda la nostra iniziativa sono: il blocco dei licenziamenti e l’estensione degli ammortizzatori sociali; la riforma fiscale e la lotta all’evasione; il rinnovo dei contratti nazionali pubblici e privati; la sanità pubblica, la sicurezza sul lavoro, la conoscenza e la cultura; gli investimenti, la digitalizzazione, il lavoro stabile e sostenibile, il Mezzogiorno; le legge per la non autosufficienza, la previdenza e l’inclusione sociale. Su tutti questi temi vorremmo parlare con il Governo e dare alcune indicazioni, ma al momento da Palazzo Chigi non è giunta nessuna convocazione.
Che prospettive vede all’orizzonte per lavoratori e pensionati e in che modo il Recovery Fund andrà ad incidere sulle politiche legate all’occupazione? Ci preoccupano le tante crisi industriali ancora aperte al Mise: vanno risolte in una prospettiva di rilancio. È fondamentale, comunque – lo abbiamo appena detto – che ci sia la copertura degli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti sino alla fine dell’anno. Sul tema della riforma complessiva, poi, rivendichiamo la necessità di una contrattazione vera, perché le risorse per far funzionare il sistema sono versate proprio dai lavoratori e dalle imprese. A questo proposito, si dovrebbe parlare anche di politiche attive del lavoro, di formazione e di riqualificazione, capitoli che dovranno essere parte integrante della riforma. Per quel che riguarda i pensionati, invece, riteniamo che si debba cogliere questa occasione per restituire potere d’acquisto ai pensionati, recuperando la piena indicizzazione, anche attraverso la leva fiscale e l’estensione della 14esima.
Ora, ad accordo raggiunto, su quali fronti ed in che modo deve intervenire l’Italia per far si che le risorse vengano utilizzate in maniera proficua? Quali sono le priorità su cui investire? Il Governo deve decidere quali sono gli asset strategici per il nostro Paese e strutturare una politica industriale che sia coerente con gli obiettivi. Noi pensiamo che sia impensabile progettare lo sviluppo in assenza di grandi realtà e di un tessuto industriale consolidato e diffuso. A tal proposito, riteniamo anche che la crescita passi per un collegamento più strutturato fra il mondo produttivo e dei servizi, da un lato, e quello dell’Università e della ricerca, dall’altro. L’Italia investe nelle Università la metà, in rapporto al PIL, di quanto investono i paesi a noi più vicini. Bisogna, poi, migliorare la formazione dei nostri giovani e la capacità di produrre innovazione, potenziando la capacità di intercettare le risorse europee. Per aumentare la produttività, infine, si deve investire in nuove tecnologie e in innovazione, favorendo l’ingresso di nuovi capitali e professionalità esterne e curando la formazione del personale.